Il Potere e la Grazia



Lo abbiamo visto negli spazi più impensati, in poster pubblicitari, in decalcomanie sulle fiancate degli autobus, 
è il protettore dei francescani secolari 
e terziario francescano lui stesso,  
è Luigi IX re di Francia. 

Ora lo possiamo anche incontrare. 
Alla Mostra









IL POTERE E LA GRAZIA.
Fino al 31 gennaio. Gratis.

Si scopre poi come talvolta la santità abbia vinto non solo l'ostilità, ma anche la tentazione del potere, come avvenne negli eredi di corone ambite e da loro abbandonate per seguire i consigli evangelici:  è il caso di Elisabetta d'Ungheria e Turingia .
(...) La mostra ripercorre la storia dell'Occidente cristiano attraverso le vicende dei suoi protagonisti, la saga dell'incontro (o, spesso, dello scontro) tra potere e religione, tra civitas ed ecclesia, tra corone "terrene" e corone metastoriche.
Il binomio potere e grazia fa riferimento all'intreccio tra dinamiche religiose e dinamiche politiche, tra fenomeni liturgici e devozionali e fenomeni sociali ed etnici che accompagnano l'elevazione all'onore degli altari di un santo e la sua elezione a patrono di una comunità politica, di una nazione, di uno Stato. Storia della vicenda religiosa cristiana e storia della vicenda etnico politica dell'Europa si manifestano, in questa mostra, come costantemente congiunte e reciprocamente illuminanti.
L'attenzione di fondo su cui l'esposizione è costruita riguarda il nesso fra le esperienze religiose e il contesto sociale e culturale in cui si sono manifestate e che ne ha sancito l'eccezionalità. Si rievoca la lotta del potere contro la santità:  è il caso dei martiri uccisi da sanguinari sovrani o da congiure di palazzo e poi eletti patroni dei loro popoli e dei loro regni, come ad esempio Giovanna d'Arco. Si scopre poi come talvolta la santità abbia vinto non solo l'ostilità, ma anche la tentazione del potere, come avvenne negli eredi di corone ambite e da loro abbandonate per seguire i consigli evangelici:  è il caso di Elisabetta d'Ungheria e di Turingia e di Francesco Borgia. Si indaga infine tra gli intrecci di santità e potere che trovarono sintesi in una stessa persona, come nel caso di Stefano d'Ungheria o Olav di Norvegia, o ripercorrendo la vita dei santi patroni d'europa, per riscoprirli come figure ancora attuali, capaci di indicare i sentieri su cui la civiltà occidentale e il crstianesimo possano continuare la  loro strada. (Silvia Guidi).

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Radici cristiane d'Europa. Per capirne di più aiuta questa mostra a Roma, Palazzo Venezia (fino al 31 gennaio), sui Santi Patroni d'Europa, "Il potere e la Grazia". Per la prima volta la storia dell'Occidente cristiano viene narrato attraverso le vicende dei protagonisti, "l'incontro e scontro tra potere e religione, civitas ed ecclesia, corone ed aureole". Si tratta del primo exploit nazionale, dopo quello ai Musei Vaticani, del Comitato di San Floriano, a sua volta con alti patroni sulle due sponde del Tevere (catalogo Skira). Comitato benemerito per le mostre (l'ultima sugli "Apocrifi"), meditate in una valle della Carnia, a circa 600 metri di altezza, a Illegio, un paese di 400 abitanti.

Nelle "cavernose" sale di Palazzo Venezia sono state ricavate strutture simili a navate di chiese, rosso mattone, con nicchie in cui sono inserite le opere, e una illuminazione molto al risparmio. Una settantina fra dipinti e copie antiche, icone; disegni; statue, bassorilievi e altari portatili che sono il trionfo del legno policromo; codici. Una copia inevitabile (la Sacra corona di Santo Stefano d'Ungheria donata da papa Silvestro II nel 1001 e senza la quale i re ungheresi non venivano riconosciuti). La mostra tenta una novità assoluta: sotto alle opere esposte sono le immagini di opere a loro collegate, di confronti stilistici, il che crea troppi centri di attrazione e di distrazione.

Patroni d'Europa. Molti si rifanno agli ultimi fuochi dell'impero romano, ai primi fuochi del cristianesimo con gli apostoli, il primo martire Stefano, Pietro e Paolo, la fine delle persecuzioni, i primi vescovi, alla nascita delle nazioni europee e alla loro evangelizzazione. Ma - osserva lo storico dell'arte don Alessio Geretti, del Comitato di San Floriano, curatore della mostra -, "quando si parla di patroni ci si spinge ben oltre la dimensione strettamente religiosa", oltre la suddivisione dei Paesi fra cattolici e protestanti per i quali i santi "non hanno la stessa importanza nel mondo cattolico o ortodosso, ma rimangono pur sempre dei modelli e dei punti di riferimento". Questi santi sono "dei veri e propri 'catalizzatori dell'identità collettiva di un popolo". E il culto dei patroni, "fenomeno religioso imponente", non è mai riservato a élite di qualsiasi tipo, ma interessa tutte le fasce sociali, "persino fattore di coesione e di identificazione di gruppi e comunità".


Sono 47 i Paesi, più l'Europa, più il Sovrano militare ordine ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e Malta, che si dividono 117 patroni. Il Paese col maggior numero di patroni è la Federazione Russa (dieci). Repubblica Ceca (otto), Lituania (sette), Polonia (sei); Austria, Francia, Portogallo e Turchia (quattro ciascuno). Italia (Francesco d'Assisi e Caterina da Siena). Per undici volte Maria è la più "reclamata": Madre del Buon Consiglio (Albania e Moldavia); Maria di Meritxell (Andorra), Assunta (Francia), Consolatrice degli afflitti (Lussemburgo), Maria Regina della Polonia, Immacolata Concezione (Portogallo e Spagna), Addolorata (Slovacchia), Ausilio dei cristiani (Slovenia), Magna Domina di Ungheria. Sei volte è stata scelta la coppia dei fratelli greci Cirillo-Metodio di Tessalonica, IX secolo.

Essere re o imperatori non è un ostacolo insormontabile alla santità. Lo dimostrano Canuto re di Danimarca (ucciso in una ribellione popolare nel 1086); Olaf di Norvegia "Il Forte", eroe dell'indipendenza nazionale, martire della fede, venerato dal 1031; Erik di Svezia, eroe e santo nazionale di un Paese passato al luteranesimo e la cui immagine è nello stemma di Stoccolma, pugnalato nel 1161 mentre assisteva alla messa; Cunegonda imperatrice del Lussemburgo nata nel 980 e il popolare Santo Stefano re di Ungheria, canonizzato nel 1083, che è anche il fondatore e organizzatore di uno Stato con una popolazione nata nomade e della sua cristianizzazione.

Anche qui è un patronato al maschile. La "quota rosa" è del 25,6 per cento. Le presenze femminili sono 29 sui 113 patronati (il totale depurato dei quattro angeli custodi e arcangeli che appartengono ad una categoria tutta loro). Suddivisione a metà invece dei sei co-patroni d'Europa scelti da Paolo VI e Giovanni Paolo II. Benedetto e il duo Cirillo-Metodio (in mostra con un testo liturgico in glagolitico, l'antenato dell'alfabeto cirillico che secondo tradizione fu creato da Cirillo), Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Teresa Benedetta della Croce. Al secolo Edith Stein, ebrea polacca nata nel 1891, filosofa atea allieva di Husserl, morta carmelitana il 9 agosto 1942 nelle camere a gas del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. Modernissima patrona è rappresentata in mostra col mezzo modernissimo del cinema, un film che narra la sua vita. Osserva don Geretti: la sua vicenda è il "riassunto della storia del XX secolo, luci e ombre, glorie e contraddizioni".

La mostra si apre con l'introduzione al mondo dei santi. Con una tela monumentale di Giambattista Tiepolo (una Madonna non felicissima, con Caterina da Siena, Rosa da Lima, Agnese da Montepulciano colte nelle esperienze mistiche), l'"Immacolata concezione" di Murillo (dal Prado) che "intende rappresentare la santità come purezza, come vittoria sul peccato" e il Battista di Andrea del Sarto, già predicatore nel deserto, ma giovanile, non ancora consunto da quella vita. Maria e Giovanni "i due avvocati difensori del genere umano, patroni universali dei vivi e dei morti". Più toccante dal punto di vista umano, la grande "Festa del Salvatore al Nord" (130 per 215 cm), di Illarion Prjani?nikov, da Mosca, Galleria Tret'jakov. La grande massa di popolo raccolta sul fiume per assistere al "Te Deum", "testimonia la venerazione delle immagini dei santi e del Redentore, un fenomeno religioso che unisce "il ricco e il povero, il sovrano e il suddito".

Si procede con una evoluzione dei "modelli di santità" come se "Dio reagisse alla situazione di ciascuna stagione della storia con un certo tipo di santi". Fra i martiri e i confessori i monumentali Battista e Sebastiano del Tiziano. Il martirio di Pietro è ripreso in due tele ancora più gigantesche, nella preparazione della crocifissione, del Guercino, in una scena corrusca, ma luminosa per il blu del manto di Pietro e del cielo nello sfondo, e nell'atto di innalzare la Croce, di Luca Giordano, in una scena piena di dinamismo con un carnefice al centro che urla di tirare le corde che tagliano la scena, dominata da corpi nudi rosa-scuri, corazze e nuvole nere.
Monaci ed eremiti. San Benedetto in lettura, nel "magistrale ritratto" della tavoletta degli Uffizi dipinta da Hans Memling. La scoperta di Bernardino da Parenzo (Parentino o Parenzano), 1480, con storie di Antonio Abate tentato dai diavoli, una pittura-scultura dai colori acidi e una resa straordinaria nei paesaggi rocciosi. Culto e agiografia, dai santi fratelli "per i quali" si rivolgono preghiere" ai santi "ai quali" si rivolgono preghiere. Le due tavole con i quattro episodi della vita e miracoli di San Nicola da Bari dipinti da Ambrogio Lorenzetti nel 1332 circa.

Vescovi e missionari. La santità regale: l'"Adorazione dei Magi" della tela dove Jacopo e Leonardo Bassano mescolano regalità e animali domestici e di San Luigi re di Francia. In una tela di 229 per 249 cm, e affollata, Claudio Coello, fra la corona e lo scettro abbandonati ai piedi della Natività, presenta Luigi in armatura, manto sovrabbondante, spada sguainata e piantata a terra con la corona di spine della futura Passione. A fianco, Luigi è ritratto da El Greco, armatura e corona in testa, ma dal volto mesto, afflitto da quella potenza. Il paggio che regge l'elmo non osa sollevare lo sguardo.

I cavalieri di Dio. La tavoletta del Mantegna del 1468 circa, dalle veneziane Gallerie dell'Accademia, col San Giorgio e in alto sulla collina una città di torri e mura. Il santo in piedi, in completa armatura nera con nastri rossi, regge la lancia spezzata, il resto è nelle fauci del drago alato ai suoi piedi che cerca di trascinarsi oltre la cornice dipinta. Ma questo è nulla a confronto dell'altra scena con lo stesso soggetto che supera i tre metri di altezza. Un turbine di azioni, col santo sul cavallo impennato che dopo aver trafitto le fauci del drago sta per menare con la spada il colpo di grazia. Il drago, con la bocca spalancata in primo piano, è tanto potente da aver spezzato la lancia e tenta di estrarla dal palato e la coda cornuta minaccia la testa del cavallo. Un grande dipinto da Capodimonte anche se è solo una copia antica di scuola fiamminga da Rubens. Il cavallone bianco, dalle vene del ventre ingrossate per lo sforzo, è la parte più spettacolare.

Viene da affiancarlo al San Giacomo Maggiore vittorioso a cavallo, tutto avvolto in un mantello bianco da cui esce il braccio armato della spada sul capo di uno sconfitto (sulla lama la firma del Tiepolo). Un capolavoro a parte è il cavallo bianco, dai finimenti curati nei particolari e la testa con i grandi occhi scuri puntati sull'osservatore. Il tutto esaltato dalle dimensioni a sviluppo verticale (3,17 per 1,63), e dalla ripresa parziale dal basso.

Il San Giorgio del Mantegna volge lo sguardo a sinistra dove trionfa il celebre, elegantissimo San Michele Arcangelo di Guido Reni dal manto rosa-rosso (293 per 202 cm), che in modo molto più tranquillo e sbrigativo di San Giorgio col drago, inchioda e incatena il Maligno. Dalla chiesa romana di Santa Maria della Concezione.
Potere e grazia, chiude la mostra. Da tradurre nel rapporto fra "fede e cultura, comunità politica e Chiesa, coscienza e Stato". La risposta di Cristo, sintetizzata da "La moneta del tributo" di Bernardo Strozzi, mira "a smascherare anzitutto la tentazione di tutti i sistemi di potere", che spesso rivendicano "una importanza, una fiducia" e una dedizione tali "che soltanto Dio può domandare e meritare". La Chiesa deve essere anche pronta alla fermezza che Van Dyck raffigura nel dipinto da Londra, National Gallery: Ambrogio, vescovo di Milano, impedisce l'ingresso nella cattedrale all'imperatore Teodosio che nella primavera del 390 aveva sterminato la popolazione di Tessalonica per punirla dell'uccisione del governatore in una insurrezione popolare.

Grandi e grandissimi artisti, ma ecco imprevisto, a mostra più che avanzata, Leonardo. Il "San Giovanni Battista" (o "San Giovannino") del Louvre dopo un mese a deliziare i milanesi a Palazzo Marino, dal 1° gennaio si è unito agli altri patroni a Roma. E come l'apparizione a Milano era gratuita, a Roma ha reso gratuita tutta la mostra.
La tavoletta di Leonardo (69 per 57 cm, di noce) mancava dall'Italia dal maggio-ottobre 1939, da una mostra a Milano su Leonardo e le invenzioni italiane. La presentazione (catalogo Skira) è merito degli accordi tra Eni e Louvre. Il dipinto era in Francia, nello studio di Leonardo a Cloux (a poca distanza da Amboise, dalla corte di Francesco I che lo ospitava), dove il maestro morì il due maggio 1519, "vecchio di più di settanta anni" in realtà a 67 anni.

Il Battista è raffigurato a metà figura con il braccio destro che taglia con una luminosità dorata l'immagine e l'indice che punta verso l'alto. Quando era ancora il "cuginetto" di Gesù Bambino (Elisabetta, madre del Battista, era cugina di Maria) Giovanni indicava sempre l'"Agnus" del sacrificio. La Croce di canna, simbolo di Giovanni, si deposita come un'ombra scura sul fondo scuro che circonda tutta la figura e i boccoli, curatissimi e distinti, "morbidamente inanellati".

La "composizione appare spettrale", in accordo con gli scritti di Leonardo sulla "fluidità dei contorni" notano i ricercatori del Louvre che hanno eseguito lo studio scientifico dell'opera. Le "molteplici modifiche di piccola entità" nella fase di pittura (avambraccio destro e dita, mano sinistra) testimoniano la "ricerca incessante" di "una perfezione delle forme, perseguita per tutta l'elaborazione dell'opera". La tecnica "dell'incarnato è notevole per lo splendido sfumato in cui le ombre profonde digradano in sottili velature sullo strato chiaro delle lumeggiature". La tavolozza è "estremamente limitata", quattro-cinque colori. "La perfezione dei modellati e dello sfumato" testimonia "l'eccezionale padronanza tecnica di questo artista geniale".

Al solito l'opera di Leonardo non è facile. Qui lo "sfumato" del sorriso sembra essere scivolato oltre la soglia del mistero. Un sorriso che è stato interpretato almeno ambiguo, in chiave "psicoanalitica e persino erotica", che ha favorito l'aberrazione del trasferimento della doppia natura divina-umana di Cristo, di cui Giovanni è stato il precursore, che lo ha battezzato, nella natura maschile-femminile del Battista di Leonardo.

Non conosceremo mai le intenzioni di Leonardo, ma queste ultime interpretazioni sono le più lontane da quello che i Vangeli dicono del Battista. Matteo riferisce che Giovanni, che predicava nel deserto della Giudea, "portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico". Ancora Matteo ricorda le domande di Gesù alla folla. "Che cosa siete andati a vedere nel deserto?. Una canna sbattuta dal vento? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta". Il mio messaggero.

Ed è questa l'interpretazione centrata da Caravaggio nel "San Giovanni Battista" in mostra, dalla Galleria nazionale di arte antica (a Palazzo Corsini). Il Battista - precisa Rodolfo Papa nel catalogo-, "guarda fuori campo, oltre i confini dello spazio del dipinto, e indica ciò che vede ponendo la mano sulla Croce". Come un profeta che ispirato dallo Spirito Santo è "in grado di vedere con chiarezza e quindi di profetizzare con certezza".
Un merito della mostra è presentare artisti rari in questa parte d'Italia con manufatti artistici, supporti non familiari. Come la tempera a olio su legno di abete bianco di Maestro svevo ("San Martino divide il mantello con il povero" , forse del 1502), montata su di una portella di "Flügelaltar" (altare a sportelli). Legno policromo del Maestro della leggenda di San Wolfang (il santo edifica la chiesa facendosi aiutare da diavoli-mostri), da Linz. Fra i "Vescovi ed evangelizzatori" tempera su tavole di cirmolo di un pittore della cerchia di Michael Pacher ("Assassinio di San Tommaso Becket" e "Celebrazione delle esequie attorno al feretro"), da Graz. Legno di tiglio intagliato, dipinto, dorato, di un "Flügelaltar" ("Leggenda di San Stanislao vescovo"), dal Mezeum Narodowe di Varsavia.

Storie, tradizioni, leggende, meta-storie insolite, affascinanti del mondo dell'Est. Come la vicenda di San Stanislao (1030 circa - 1079), vescovo di Cracovia, uno dei più venerati patroni della Polonia. Le figure in primo piano del "Flügelaltar" di San Stanislao sono quasi a tutto tondo, le altre in bassorilievo, ma con teste e mani a tutto tondo. Tutte caratterizzate da "spiccato realismo", "notevole la differenziazione dei tipi". Accurati "nei minimi dettagli" barba, baffi, abbigliamento.

da Repubblica
articolo di GOFFREDO SILVESTRI