OTTOBRE FRANCESCANO: SUGGESTIONI DALLA RELAZIONE DI REMO DI PINTO, MINISTRO DELL'O.F.S. D'ITALIA



ALLA RISCOPERTA DI  SAN LODOVICO O LUIGI IX  DI FRANCIA, PATRONO DELL’O.F.S.

Il Ministro nazionale dell’OFS d’Italia, Remo Di Pinto, all'inizio del proprio intervento ha subito premesso di non essere nella sua indole quela di uno “storico”.

Nel suo intervento ha espresso sostanzialmente elementi di “attualizzazione” della vita di Lodovico, ovvero riferiti alla realtà d'oggi e insieme ha indicato – come con noi fece fr. Stephane M. Oppes quando fu invitato in fraternità a illustrarci la figura del beato Gabriele Allegra - ovvero, l'individuazione di quegli elementi che ne fanno un “santo francescano”. (ms)



“Che cosa ho da dire su San Lodovico?”.

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Così, con molta semplicità, Remo Di Pinto ha introdotto la sua breve present-azione sulla figura del santo patrono.
Il ministro ha cercato di farsi sollecitare nella ricerca dalla sua figura. L’intento è stato di sollecitare altrettanto i presenti, sula ricerca e scoperta della figura di un santo poco conosciuto. Lodovico - questo è il nome di battesimo - nacque a Poissy (Francia) il 25 aprile del 1214, da madre, Bianca di Castiglia e da padre, Luigi VIII. Divenuto re, prese il nome di Luigi IX.

L’insegnamento di Lodovico è stato caratterizzato da una formazione molto rigida. Nella sua adolescenza fu molto influenzato dalla figura della madre. Questa influenza permise al piccolo Lodovico di crescere con particolare fascino nei modi cavallereschi e attraverso un’importante educazione religiosa e morale, fu sempre ben attento a fuggire il peccato. Acquisì anche un forte senso della giustizia e grazie a una sempre maggiore predisposizione ascetica e maturò sensibilità verso la pietà e la misericordia, verso l’amore ai poveri e gli ammalati. 
Ha cercato di vivere in mezzo alla gente, perché lui stesso era un uomo molto concreto che volle "sporcarsi le mani", specialmente insieme agli ultimi. Francescanamente possiamo dire "tra" il popolo di cui fu regnante.
Lodovico era appassionato dall’arte della costruzione degli edifici e spesso si recava nei cantieri, mischiandosi con gli operai, per costruire insieme a loro case e palazzi.
Grazie all’insegnamento della madre era sempre incline a fare l’elemosina.
Non ci sono fonti certe che ricordano che Lodovico fosse davero diventato Terziario francescano, ma all’incontro con un frate, inviato da San Francesco in Francia per creare nuove fraternità, favorì in modo crescente il radicamento dell’ordine dei mendicanti francescani e dei domenicani.
Nel 1226, a soli dodici anni, succedette al padre come re di Francia con il nome di Luigi IX sotto la reggenza della madre.  Margherita fu intelligente e ferma e veramente capace a guidare il popolo.
Era sapiente e con saggezza, malgrado se intendesse di strategia militare, cercò di rincorrere sempre la pace in un periodo allora di forte destabilizzazione.
 Come accade, a causa d’invidie tra i cortigiani, la madre reggente e Lodovico furono oggetto di calunnie.  La madre, per estirpare sul nascere il malcontento, invitò il figlio ad andare “tra” il popolo e non a fianco, per farsi conoscere.
Nei conflitti con i nemici interni del regno, Luigi usò molte volte la clemenza riguardo alle condanne a morte perché era un uomo che amava il dialogo, per superare i conflitti. Una volta addirittura andò in contrasto con la
madre per evittare una condanna a morte nei confronti di un suo calunniatore.
Luigi amava dire che il regno è come un fiore a tre foglie: Fede, Sapienza e Cavalleria. Se le foglie sono unite, il regno potrà essere sempre solido ma quando, una di esse si stacca, il regno cadrà inesorabilmente. Durante il suo regno passarono in Francia molte figure illuminate come anche, San Antonio da Padova.
Luigi come detto prima, cercava sempre di raggiungere la pace ner cercare di comprendere le esigenze del popolo, leggendole con gli occhi di Dio, per tendere alla conoscenza fino in fondo dei loro bisogni, evitando di rincorrere il suo bene ed egoismo personale.
Il 27 maggio 1234 Luigi si unì in matrimonio con Margherita di Provenza. La madre influì molto su questo matrimonio.
Luigi fondò il suo matrimonio sull’amore e non sulla seduzione, forte dei principi e valori acquisiti dalla formazione materna.

  • SPIRITUALITA' CONIUGALE 
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Sull’anello nuziale degli sposi Ludovico e Marherita era impressa questa scritta: “Fuori da quest’alleanza, potremo trovare l’amore? C’era la predisposizione nella coppia a essere sposi (in un epoca in cui poi i matrimoni spesso erano "concordati") per vivere il matrimonio come vero e proprio sacramento. 
 

Luigi era molto riservato mentre Margherita era espansiva e amava la fastosità.  Infatti, quest’ultima era sempre in disappunto con il marito che amava indossare invece abiti dimessi e poveri a differenza di lei.
Margherita lo avrebbe voluto sempre ben vestito e curato e allora, per tutelare l’amore e non far dispiacere alla moglie, Luigi accettava i suoi consigli cercando di vestirsi in modo più elegante.
In seguito poi, di ritorno dalla sua prima crociata lanciata da Innocenzo IV in terra santa, in un cammino di maturazione, i coniugi accettarono la loro diversità e Luigi, con buona pace della moglie, cominciò a vestirsi con abiti poveri e in modo trasandato.
Partecipò a seguito di un voto fatto per la sua guarigione a una malattia, alla crociata del 1248 ma non per poggiare sulla forza della spada ma per custodire amorevolmente, come un pellegrino fervente, il patrimonio spirituale della cristianità accettandone la sofferenza e tutti i disagi che la guerra avrebbe prodotto pur di diffondere, in altri paesi il regno di Xsto.
S'interrogò sempre dentro se stesso, se questa fosse la decisione giusta da intraprendere, mettendosi spesso in discussione.
Lavorò molto cercando la pace e la riconciliazione con il Saraceno servendosi, per raggiungere questa, dei frati francescani come veicolo di dialogo e di pace.
In questo modo, Luigi chiuse un’epoca e ne aprì una nuova, che intuiva per il futuro.
Morì di Tifo durante la partecipazione di una seconda crociata contro i mussulmani di Tunisi, il 25 agosto del 1270, a 56 anni.
Morì di tifo nel 1270 a 56 anni, durante la partecipazione della crociata contro i mussulmani di Tunisi.

  • CARISMA FRANCESCANO


Accostando la figura di Luigi IX con quella di San Francesco si può dire che:

1)    Ebbero in comune e vissero in una famiglia di sani principi, dove poi, l’influenza della madre fu per i due, decisivo.

2)    Come fu per San Francesco, Luigi fu un uomo del futuro, capace di guardare di là dalla sua epoca. Costruire una vera comunità umana anche se questo progetto, a volte, sembrò fallire. Come Papa Francesco venerdì scorso, durante la messa ad Assisi, nella sua compostezza e serietà sembrava si chiedesse all’indomani della tragedia dei profughi morti a Lampedusa: “Ma come si fa a costruire di nuovo una comunità umana dopo quanto è successo?”.

3)    San Luigi, come San Francesco, incontrò Cristo, e questo grande evento, gli cambia definitivamente la vita spingendolo tra i poveri e non a fianco a loro, da semplice spettatore. Chi viene dal basso, dagli ultimi posti, è chiamato a costruire la storia. Ebbe successo per questo, condividendo la giustizia a favore dei poveri e vestendosi povero come loro, come i suoi bisognosi.

4)    Il testamento di San Luigi usa toni di esortazione al figlio nel rincorrere il bene fuggendo il peccato e amando il Signore Dio con tutto il cuore e con tutte le forze. Così San Francesco esorta i suoi frati, nel suo testamento.

5)    Ispirato dalla formazione rigida dei suoi genitori, tendeva sempre a staccarsi dal peccato, fuggendolo. Per aiutarsi a questo, andava a soccorrere i lebbrosi. Proponeva una giustizia mondiale, pur egli stesso regnando potesse attraverso il regno portare il "Regno di Cristo".

“Come per noi, terziari, la figura di San Luigi IX può diventare attuale?”

“Dando testimonianza nell’ambiente lavorativo secondo la propria disponibilità. Dobbiamo stare negli ambienti che la vita quotidiana ci chiama a frequentare come se fossimo dei “re”, immersi nelle cose del mondo senza essere del "mondo", in altre parole schiavi delle cose del mondo. Questo, certamente, avviene se dentro di ognuno di noi possieda una grande gioia di vita, un amore profondo per essa. Invece spesso accade che noi cristiani, siamo tristi e spenti.
Per esempio, nel prossimo capitolo regionale del Lazio facciamo nostro questo evento pregando con passione perché riesca al meglio”.

Quali allora i due punti finali di riflessione che possono finire questo incontro e confronto?

a)  Porsi in una vita itinerante, in uno stile di vita che non metta radici, ma sia sempre un cammino. Far nostro la spiritualità francescana che è itinerante, con quel comportamento che per esempio, dia testimonianza pacifica pacificante, nell'andare verso l’altro e tra gli altri e non contro. Ciò significa che bisogna essere sempre in movimento, per servire ogni creatura.

I terziari, per esempio, come vivono questo nostro “appartenere” nelle fraternità?
Quali ambienti frequentano?
Quelli protetti, dove non ci si mette mai in discussione o invece, come ognuno dovrebbe essere, anche andando verso quelle realtà scomode, che fanno paura, che sono diverse dal nostro modo di vivere?
Nelle fraternità e dentro di ognuno, si deve battere molto su questo punto, cioè, prendere la consapevolezza che il “nostro” popolo è fuori da queste mura, dai confini delle fraternità perché proprio questo popolo aspetta impaziente, il nostro servizio.
Poi, ognuno, s’interroghi sul proprio cammino di fede!
Ciò significa che ogni terziario deve possedere un’identità precisa, ispirata dalla fede, in modo che il “dove e il quando” è dettato non da se stessi ma da Dio Padre.
La periferia esistenziale, come spesso ripete Papa Francesco, è presente nelle nostre fraternità?
Ognuno di noi, s’interroghi se ciò che fa è mandato da Dio Padre oppure, dettato dalle proprie paure. L’OFS deve portare, in ognuno di noi, la finalità di questa chiamata, cioè, chiamati a vivere con atteggiamento itinerante, verso gli ultimi, continuamente.
Siamo capaci di esportare il modello della fraternità oppure, importiamo semplicemente un modello individuale? Nelle fraternità quindi non bisogna parlare solo, ma occorre vivere questo modello.
Prima di andare "nelle periferie", devo accettare che io stesso sono, periferia, permettendo e accettando che il fratello mi dia la sua mano. Devo io per primo essere povero e poi, una volta accettato me stesso, come sono fatto, con le mie debolezze, i miei limiti e le mie potenzialità, posso andare con gioia, in periferia.

b)   Avere un senso di responsabilità. Questo punto non è stato ampliato perché l’orario, con la messa imminente, non l'ha consentito.
                                               Marcello Capaldi, ofs