LODE DI PASQUA



L’anima mia è esplosa
ed eleva un canto d’amore
a Te Dio, mio Signore
l’attesa è stata dolorosa,
ma nascosta nel tuo cuore,
ora è luce nella mia notte di terrore.
Sia lode alla tua carità,
che ha generato di quest’anima, la vita
alla quale sono legate tante vite.
Non ho invocato invano la tua Pietà,
la tua misericordia infinita
per il mio andare di umanità.
Osanna in questa Pasqua di Resurrezione
grido felice, o Signore,
morto per Amore, risorto per Amare

Rosita Taddeini, ofs




BUONA PASQUA !
ai fratelli e sorelle del Terz’ordine
che per motivi di età, salute e personali
non possono frequentare

IL SIGNORE VI BENEDICA
E CUSTODISCA SEMPRE !

la vostra fraternità   

AUGURI DI BUONA PASQUA DALLA TANZANIA

Sono arrivati gli auguri di Rosa Antonucci
che dopo vari anni in Eritrea, ora presta la sua opera
di medico, con l'Associazione Missonaria Italiana
di Faenza, in Tanzania.




NAWATAKIA HERI YA PASAKA
vi auguro Buona Pasqua !


Carissimi, il Signore Risorto ci invita a portare ai fratelli il lieto annuncio
dell'avvento del Suo Regno di Pace e di Giustizia.
La Sua Grazia ci renda araldi solleciti e testimoni fedeli della Sua Parola.
 
con affetto, Rosa
 

ARRIVEDERCI LIDIA ...



Venerdì 22 marzo

Dopo la Via Crucis, nella Santa Messa delle ore 18,30, ad un mese di distanza dal suo ritorno alla casa del Padre, è stata ricordata la dipartita da questa terra della nostro
piccola lucciola Lidia Rossi Pinnen. Guido Fiorani e Carla Pasquini ci hanno inviato queste righe …










Cara Lidia,
te ne sei andata via in silenzio, senza clamori, senza squilli, così come hai sempre vissuto, quasi in punta di piedi per non farti notare da nessuno. Da nessuno? No, perchè il tuo Cristo, che hai sempre amato di un grandissimo amore ti è venuto a prendere per portarti dove sta Lui. Qui da noi eri piccola e curva, ci guardavi, ascoltavi, non parlavi. Pochi si accorgevano di te e quando sei partita nessuno è venuto a salutarti. Però alla stazione hai incontrato Gesù che ha asciugato le tue lacrime e ti ha fatto accomodare nel Suo scompartimento. Poi ti ha invitato al Suo banchetto e ti ha fatto sedere vicino a Lui. Ora parlaGli anche di noi e delle nostre miserie, certamente ti ascolterà e noi avremo così la speranza di stare con te, un giorno in Paradiso. Guido

La nostra consorella Lidia lascia una traccia indelebile nei nostri cuori in quanto esempio di grande semplicità e generosità.
In lei si trovava un cuore aperto, affabile e capace di incoraggiare e confortare. Abbiamo potuto apprezzare la sua umile dedizione e la sua costante disponibilità verso i poveri ed il forte legame alla fraternità. Personalmente l’ho vista operare con materna dedizione nella mensa di San Antonio. Accoglieva sempre con un sorriso e col cuore gli ospiti della mensa e donava tutta se stessa nel servizio prestato. La ringraziamo per la sua testimonianza di vita pienamente francescana in quanto aveva radicato nel cuore l’Essenza dell’insegnamento del nostro Serafico Padre San Francesco. Era una presenza certa, sincera e positiva che garantiva a ciascuno di noi discreta e solidale vicinanza soprattutto nei momenti meno facili. La fiducia e la serenità di spirito che l’hanno sostenuta nel suo cammino trovavano la loro sorgente nella continua preghiera e nel filiale affidamento al cuore della nostra Madre Celeste. Sarà sempre presente nei nostri cuori il suo insegnamento di totale abbandono alla volontà ed all’amore del nostro Signore. Siamo certi che dal cielo continuerà a pregare per i suoi cari e per la sua fraternità a cui ha donato gran parte del suo Cuore. Carla

E IL PAPA DIVENNE FRANCESCO...



Non possiamo negarlo. La scelta del nome, di questo nome, Francesco, ci ha fatto esultare e gioire di speranza.  Non dobbiamo però cadere nell’equivoco che sia tornato Francesco.  
Francesco non sarebbe mai diventato papa, lui che non volle mai farsi né prete né monaco, che aveva rivalutato a tal punto il ruolo dei laici da iniziare una comunità di soli laici, e che aveva tanto in stima le donne da pensare ad un progetto di vita cristiana aperto ugualmente a uomini e donne . Però il progetto di San Francesco , quello sì, quello di riformare la Chiesa a partire da se stesso è oggi fatto proprio dal Papa e rilanciato come sfida tanto nuova quanto antica a tutti i cristiani di buona volontà Non possiamo dunque che gioire  per questo nome  così bene augurante.

Quando il Poverello d’Assisi iniziò il suo cammino di fede constatò amaramente che “nessuno gli diceva che cosa dovesse fare”. Erano tempi bui per la Chiesa cattolica. Non c’erano per la cristianità veri punti di riferimento e i tanti gruppi e movimenti di riforma non furono capaci di restare nella Chiesa cattolica. Molti s’improvvisarono riformatori ponendosi all’esterno del corpo ecclesiale, finendo così per dissipare i loro sogni di rinnovamento e di vivere la riforma autentica al di fuori del gregge, in modo settario e a volte anche violento. Francesco restò fedele alla Chiesa cattolica: nel suo lungo percorso di conversione si lasciò illuminare dal Signore che gli parlò e dalle guide del suo tempo (come il vescovo Guido), promuovendo una riforma evangelica che toccava sempre più la sua persona, il suo cuore e le relazioni con i fratelli e le sorelle che il Signore gli donò come compagni di vita.

Si riparte da qui oggi: dal bisogno di ritornare all’essenziale e di lasciarsi guidare veramente dalla voce di Dio – il Crocifisso-Risorto – e dall’amore per i fratelli che furono la vera preoccupazione pastorale di san Francesco d’Assisi. Credo che voglia dirci proprio questo papa Francesco, il neo eletto vicario di Cristo sulla terra: ci traghetterà nell’alto mare del Terzo Millennio come fratello tra i fratelli, certo di essere parte del popolo santo di Dio che è la sposa del Signore.

La Chiesa di Cristo appare, oggi come ieri, un corpo inquieto, in trasformazione; perché è attraversata da una duplice forza: da una parte, infatti, essa vive del vigore dello Spirito Santo, che è Signore e le dà vita; dall’altra, però, è trattenuta dalle nostre resistenze, dai peccati degli stessi credenti, che non le permettono di splendere come volto di Cristo e come segno della misericordia di Dio per il mondo. Dinanzi alla proposta del Vangelo non possiamo esitare: siamo chiamati, come ci ha appena ricordato questo papa, a portare al mondo la buona novella del Vangelo, il fatto cioè che Cristo è morto ed è risorto per tutti noi! La Chiesa vive di questo annuncio ed è il segno della misericordia di Dio nel mondo.

La scelta dei signori cardinali, caduta profeticamente sull’arcivescovo di Buenos Aires, mons. Bergoglio, dà molto a pensare, come pure la volontà dell’attuale Santo Padre di assumere il nome di Francesco d’Assisi. In questo tempo di grande crisi – nella fede, nella vita di noi tutti credenti, delle stesse famiglie e comunità cristiane, a partire dalla gerarchia – si avverte il bisogno di ritornare all’essenziale, alle cose che contano, alle relazioni vere. C’è ovviamente da parte di questo papa, il desiderio di ripristinare un rapporto più diretto, semplice e umile con il popolo di Dio e nel nostro stesso modo di vivere da cristiani restando nel mondo. D’altronde, è quello che cercò lo stesso Serafico Padre san Francesco: ritornare al Vangelo come forma di vita.
In questo tempo di grande crisi economica, finanziaria e socio-politica, ove mancano autentici e concreti punti di riferimento sul piano etico e spirituale, la fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo ci avvicina di più alla gente, agli ultimi, e ci permette di essere solidali gli uni con gli altri.
Papa Francesco nella breve visita a Santa Maria Maggiore ha esortato i confessori ad essere misericordiosi, a diventare cioè strumento di pace e di riconciliazione. È proprio di questo che il mondo ha bisogno: di uomini e donne riconciliati che sanno trasmettere l’amore e il perdono di Dio. Il sogno di san Francesco, di riparare la Chiesa di Cristo, non restò lettera morta, né fu stigmatizzato come chimera: si realizzò giorno per girono nel suo personale percorso di vita, convertendo se stesso, assumendo sempre di più la forma del Vangelo, cioè di Gesù Cristo. Credo che questo sia anche il sogno di papa Francesco: riformare la Chiesa a partire dalla propria vita. Solo così, infatti, sarà possibile la nuova evangelizzazione oggi.

Antonio Fasolo, ofs

CAMMINANDO NEL VANGELO / DOMENICA DELLE PALME - ANNO C nel commento di Adelaide Rossi, ofs



Domenica delle Palme
(Lc.22, 14-23, 56)


G
esù giunge con intenso desiderio alla sua ultima Pasqua, che consuma in se stesso, al posto di quella antica definitivamente caduta.  Sono i giorni, questi, che stanno al vertice della sua esistenza e danno senso a tutto il disegno di salvezza. La Chiesa rilegge gli eventi che, compiuti una volta, pure conservano ancora tutto il loro valore e la loro attuale efficacia.

Nel Vangelo ascoltiamo per intero il racconto della passione secondo san Luca. Ci poniamo la questione cruciale, quella per rispondere alla quale furono scritti i Vangeli: perché un uomo così è finito sulla croce?
Quale il motivo, e chi sono i responsabili, della sua morte?

Secondo una teoria che ha cominciato a circolare in seguito alla tragedia della Shoa degli ebrei, la responsabilità della morte di Cristo ricade principalmente, anzi forse esclusivamente, su Pilato e l’autorità romana, il che indica che la sua motivazione è più di ordine politico che religioso. I Vangeli hanno scagionato Pilato e accusato di essa i capi dell’ebraismo per tranquillizzare le autorità romane sul loro conto e farsele amiche.
Questa tesi è nata da una preoccupazione giusta che tutti oggi condividiamo: togliere alla radice ogni pretesto all’antisemitismo che tanto male ha procurato al popolo ebraico da parte dei cristiani. Ma il torto che si può fare a una causa giusta è quello di difenderla con argomenti sbagliati. La lotta all’antisemitismo va posta su un fondamento più solido che una discutibile interpretazione dei racconti della Passione.

L’estraneità del popolo ebraico alla responsabilità della morte di Cristo è confermata da una certezza biblica che i cristiani hanno in comune con gli ebrei, ma che purtroppo per tanti secoli è stata stranamente dimenticata: “Colui che ha peccato deve morire. Il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio” (Ezechiele 18, 20).
La dottrina della Chiesa conosce un solo peccato che si trasmette per eredità da padre in figlio, il peccato originale, nessun altro. Gesù è il più grande dono che il popolo ebraico ha fatto all’umanità e non deve mai più diventare motivo di condanna per esso.


- Perché un uomo così è finito sulla croce?
- Quale il motivo, e chi sono i responsabili,
della sua morte? Gli ebrei? oppure …


Chiarito il rifiuto dell’antisemitismo, vorrei tentare di spiegare perché non si può accettare la tesi della totale estraneità delle autorità ebraiche alla morte di Cristo e quindi della natura essenzialmente politica di essa. Paolo,  nella più antica delle sue lettere,  scritta intorno all’ano 50,  dà della condanna di Cristo, la stessa fondamentale versione dei Vangeli: dice che i “giudei hanno messo a morte Gesù” (1 Tessalonicesi 2, 15). Ed egli sui fatti accaduti a Gerusalemme poco tempo prima del suo arrivo in città egli doveva essere informato meglio di noi moderni, avendo, un tempo (in quanto romano) approvato e difeso la condanna del Nazareno,
Pilato non era una persona sensibile a ragioni di giustizia, tale da preoccuparsi della sorte di un ignoto giudeo; era un tipo duro e crudele, pronto a stroncare nel sangue ogni minimo indizio di rivolta. Tutto ciò è storia, quindi verissimo. Egli però non tenta di salvare Gesù per compassione verso la vittima, ma solo per un puntiglio contro i suoi accusatori, con i quali era in atto una guerra sorda fin dal suo arrivo in Giudea. Naturalmente, questo non diminuisce affatto la responsabilità di Pilato nella condanna di Cristo, che ricade su di lui, non meno che sui capi ebrei.

La conclusione che possiamo tirare dalle considerazioni storiche fatte è dunque che potere religioso e potere politico, i capi del sinedrio e il procuratore romano parteciparono entrambi, per motivi diversi, alla condanna di Cristo. La storia né dice tutto e neppure l’essenziale su questo punto. Per la fede, a mettere a morte Gesù siamo stati tutti noi con i nostri peccati.
Adelaide Rossi, ofs