28 Dicembre - S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Commento al Vangelo del giorno di Adelaide Rossi

Domenica fra l’ottava del Natale
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
Gn 15,1-6; 21,1-3; Sal 104 (105);
Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40 

Luca 2,22-40 

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
 
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
 
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
 
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.


In Gesù la nostra umanità viene liberata dalla schiavitù della colpa. Comprendiamo perché Dio sia chiamato “grande e misericordioso”: perché solo la potenza e la misericordia potevano donarci il Liberatore che vince il peccato.

Gesù Bambino è consacrato a Dio. Sulla croce lui stesso si offrirà e si dedicherà al Padre, dopo tutta una vita di appartenenza a lui. Questa appartenenza totale, con cui compirà il disegno divino, sarà motivo di condanna o di salvezza: a seconda della fede o del rigetto. La famiglia è costituita da un insieme di rapporti: tra marito e moglie, tra genitori e figli. Oggi, tendiamo a chiudere qui il cerchio familiare. Ma non è così: c’è un altro rapporto più largo: quello tra nonni e nipoti, o tra anziani e giovani, che pure è parte integrante di ogni normale famiglia umana.
Quest’anno le letture ci offrono l’occasione di riflettere proprio su quest’ultima componente della famiglia: gli anziani. Ognuna delle tre letture ci presenta una coppia di anziani: nella prima e seconda lettura essi sono Abramo e Sara; nel Vangelo, Simeone e Anna.
Gli anziani sono quelli che più hanno risentito dei vertiginosi mutamenti sociali dell’era moderna. Nella Bibbia, come nelle società antiche, gli anziani erano i pilastri intorno a cui ruotava la famiglia e la società. Oggi, invece, vengono quasi “emarginati”.
La società li considera come espressione di “un’età poco fruttifera” per la società. Il termine pensio- namento ha un po’ questo significato (in inglese lo chiamano retirement). Ma è veramente un “ritirarsi”, un essere tagliati fuori dalla vita vera? O il principio di una nuova operosità? Perché non proviamo a vederli con “occhi nuovi”?
Dopo aver lavorato tutta la vita per i bisogni del corpo e per i doveri umani, molti anziani hanno scoperto che potevano finalmente dedicarsi con più agio e libertà a coltivare il loro spirito. Per tutti costoro si realizza la parola del salmo che dice: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (Salmo 92, 15).
La Scrittura traccia anche le linee per una spiritualità dell’anziano: “I vecchi sono sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell’amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti: non siano maldicenti, sappiano piuttosto insegnare il bene per formare le giovani all’amore del marito e  dei figli” (Tito 2, 24). Non è difficile desumere da questo insieme di raccomandazioni i tratti fondamentali che fanno il buon anziano.
Nell’anziano, uomo o donna, deve spiccare anzitutto una certa calma, dignità che fa di lui un elemento di equilibrio nella famiglia. Uno che, nei contrasti, sa relativizzare le cose, smorzare i toni, indurre alla riflessione e alla pazienza. Una delle situazioni più penose che oggi vivono gli anziani è assistere impotenti alla sfasciarsi del matrimonio dei loro figli, con tutto quello che ciò comporta, per i nipotini e per tutti. Anche in questa circostanza l’anziano deve essere uno che invita alla riconciliazione, trattiene dal prendere decisioni precipitose.
Un’altra virtù suggerita agli anziani è una certa apertura verso i giovani. Le indicazioni più preziose per una spiritualità dell’anziano ci vengono proprio dalle figure di anziani che abbiamo ricordato. Abramo e Sara ci dicono che la forza che deve sorreggere un anziano è la fede. Da Simeone e Anna, impariamo l’altra virtù fondamentale degli anziani: la speranza. Simeone ha sperato tutta la vita di vedere il Messia, e un giorno ha avuto la gioia di stringerlo tra le braccia Ogni anziano ha un desiderio segreto nel cuore. Bisogna, come Simeone, continuare a sperare e a pregare. Nei Salmi troviamo questa toccante preghiera di un anziano: “Non mi respingere nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze…Tu mi hai istruito fin dalla giovinezza e ora nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi” (Salmo 71, 9ss.).
Adelaide Rossi, ofs

Questo passo del vangelo mi ha suggerito altri quattro punti di riflessione:

1) Ogni creatura che appare sulla faccia della terra ha un destino misterioso: anche se inferiore a quello di Cristo, è pur sempre il destino di un suo “fratello” e di un figlio adottivo di Dio Ogni genitore come autentico educatore dovrebbe adottare come motto quello del Battista: “Bisogna che lui cresca e che io diminuisca”. Autorità è prima di tutto “far crescere” (augere).

2) Il ragazzo Gesù “cresce in sapienza e grazia”. Egli diventa così il modello della crescita di ogni ragazzo nella dimensione umana e spirituale.

3) Genitori e figli sono i poli della struttura familiare e sono il tessuto connettivo della storia di una famiglia. Un’analisi dei loro rapporti reciproci sulle basi delle annotazioni del Siracide e di Paolo (I e II lettura) può ricondurre nell’etica cristiana anche questo impegno umano fondamentale.

4) L’anziano è contemporaneamente dramma e speranza; e, infatti, realisticamente sfacelo fisico e indebolimento mentale ma è anche segno vivo d’amore, è profondità d’intuizione, è sapienza, è persino, come Simeone e Anna, profezia.