31 Gennaio - FESTA DI SAN GIOVANNI BOSCO, sacerdote e terziario francescano

don Giovanni Bosco, terziario francescano
con  Mamma Margherita, povera tra i poveri,
maestra di carità.
Giovanni Bosco nacque presso Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco), il 16 agosto 1815. Dalla santa madre fu educato alla fede e alla pratica coerente del messaggio evangelico. A soli nove anni un sogno gli rivelò la sua futura missione volta all’educazione della gioventù. Ragazzo dinamico e concreto, fondò fra i coetanei la “società dell’allegria”, basata sulla “guerra al peccato”.
Entrò poi nel seminario teologico di Chieri e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1841. Divenne terziario francescano. Questo periodo si rivelò propizio per porre solide basi alla sua futura opera educativa tra i giovani, grazie a tre provvidenziali fattori: l’incontro con un eccezionale educatore che capì le sue doti e stimolò le sue potenzialità, l’impatto con la situazione sociale torinese e la sua straordinaria genialità, volta a trovare risposte sempre nuove ai numerosi problemi sociali ed educativi emergenti.

FONTE: BREVE RITRATTO BIOGRAFICO DI DON BOSCO : ASSISI OFM

aforisma:  «Il demonio ha paura della gente allegra»
(S. Giovanni Bosco)

PAPA FRANCESCO / IL VANGELO DELLA FRATERNITA’, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE. Angelus del 1 gennaio, "Giornata mondiale per la Pace".




disegno di Vito Macri, pittore francescano
Bozzetto per un tondo in terracotta per la
Scuola elementare "San Francesco d'Assisi"
Roma (1990)

Nel corso del primo Angelus dell’anno 2014 il Santo Padre Francesco si è soffermato a lungo su questo tema, scelto per la celebrazione della 47^ Giornata Mondiale della Pace.

ANTEPRIMA DAL NUMERO DI FEBBRAIO
 DI SQUILLA FRANCESCANA


“Alla base c’è la convinzione che siamo tutti figli dell’unico Padre celeste, facciamo parte della stessa famiglia umana e condividiamo un comune destino. Da qui deriva per ciascuno la responsabilità di operare affinché il mondo diventi una comunità di fratelli che si rispettano, si accettano nelle loro diversità e si prendono cura gli uni degli altri.” 
E occorre subito ricordare che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché, per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore. Un padre e una madre godono e sanno di essere stati capiti dai figli non quando essi dicono «Ti voglio bene, papà», ma quando vedono che i figli si vogliono bene da veri fratelli. Così è per il Padre Celeste.


La globalizzazione, tuttavia -
continua il Santo Padre - se da una parte rivela la spinta interiore dei popoli che tendono verso la realizzazione di un’unica comunità umana, a causa del peccato che avvelena i cuori, non riesce a trasformarsi spontaneamente  in una società davvero più giusta e solidale, ovvero in una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri. Guerre , violenze, vendette, prepotenza, corruzione, sono i nemici che quotidianamente attentano alla realizzazione di questo progetto di pace. Cosi la facilità di comunicare in maniera così immediata e veloce e di spostarci rapidamente  da un punto all’altro del globo, paradossalmente, come ha affermato Benedetto XVI, ci fa sentire vicini, ma non ci rende fratelli .



Esemplare è il racconto biblico della vicenda di Caino ed Abele. Esso “insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento. Lo testimonia l’egoismo quotidiano, che è alla base di tante guerre e tante ingiustizie: molti uomini e donne muoiono infatti per mano di fratelli e di sorelle che non sanno riconoscersi tali, cioè come esseri fatti per la reciprocità, per la comunione e per il dono.”


Ci si può chiedere allora: l’uomo può costruire un mondo migliore e pacifico appoggiandosi sulle sue sole forze? 

Evidentemente no. Per questo Dio si è fatto uomo, e lo abbiamo celebrato da poco nel Natale, e la missione di Cristo è consistita, essenzialmente, in tre cose:
  • ·         nel rivelare che Dio è Padre e che noi siamo tutti fratelli
  • ·    nel redimere mediante la croce, cioè salvare, riportare alla dignità di figlio, l’uomo che si era perduto;
  • ·         nel riconsegnare tutte le cose e nel restituire l’uomo a Dio.
In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La Croce è il “luogo” definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli... La risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità.”

Nondimeno, come diceva Paolo VI, “non soltanto le persone, ma anche le Nazioni debbono incontrarsi in uno spirito di fraternità . Questo dovere riguarda in primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: il dovere di solidarietà, che esige che le Nazioni ricche aiutino quelle meno progredite; il dovere di giustizia sociale, che richiede il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni difettose tra popoli forti e popoli deboli; il dovere di carità universale, che implica la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri” (. Populorum progressio - 26 marzo 1967  ) . Ciò implica evidentemente la sostituzione della dinamiche di sfruttamento e di potere con quelle di amore e di servizio.
La mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini, aggiunge il Pontefice, è una causa importante della povertà, sia quella relazionale ,dovuta cioè alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie, sia in senso stretto della povertà intesa come carenza di beni.
Essa non può che essere guarita dalla fraternità che ci suggerisce di soccorrere i poveri e di condividere i beni, come insegna la perenne ed immutata dottrina sociale della Chiesa.

Altra  grave e profonda ferita inferta alla fraternità è  l’espe-rienza dilaniante della guerra, sia quella su vasta scala, sia quella che si esprime in micro conflitti territoriali, o in forme più subdole ma non meno devastanti come la corruzione e il crimine organizzato.
Solo il dialogo, il perdono e la riconciliazione possono ricostruire la giustizia, la fiducia e la speranza nel cuore degli uomini e delle nazioni".
Non bastano gli accordi internazionali, i vertici tra capi di stato, gli sforzi diplomatici nè le cosiddette “road map“, se nel cuore dell’uomo manca la conversione. Essa soltanto può mettere fine a tale sfacelo e far trionfare la fraternità.
Anche la cosiddetta crisi economica non potrà mai essere risolta se non andando alle sue radici che sono essenzialmente antropologiche e trovano la loro origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, laddove il feticismo del denaro e la dittatura di un tecnicismo ed di un’ economia senza volto hanno ridotto l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. In tal senso, occorre richiamare a tutti quella necessaria destinazione universale dei beni che è uno dei principi-cardine della dottrina sociale della Chiesa. Parafrasando S.Paolo potremmo chiederci : “Chi ci libererà da questa realtà che conduce alla morte?

Risponde il Papa: “Ci libererà  Cristo, che è venuto nel mondo per portarci la grazia divina, cioè la possibilità di partecipare alla sua vita. “Ciò comporta costruire una relazionalità fraterna, improntata alla reciprocità, al perdono, al dono totale di sé, secondo l’ampiezza e la profondità dell’amore di Dio, offerto all’umanità da Colui che, crocifisso e risorto, attira tutti a sé: «Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).
È questa la buona novella che richiede ad ognuno un passo in più, un esercizio perenne di empatia, di ascolto della sofferenza e della speranza dell’altro, anche del più lontano da me, incamminandosi sulla strada esigente di quell’amore che sa donarsi e spendersi con gratuità per il bene di ogni fratello e sorella.... Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace”.

Non possiamo non fare un’ ultima osservazione. Il tema scelto dal Papa per questa  giornata mondiale della pace, i concetti espressi, le considerazioni fatte, i punti toccati e le soluzioni proposte, ci sono molto familiari. Fanno infatti parte del patrimonio e dell’’eredità spirituale del carisma del Santo di Assisi e tradiscono l’approccio decisamente francescano al problema ed alle sue soluzioni. Non possiamo che rallegrarci di questo grande dono di Dio che per noi è Papa Francesco , senz’altro, oserei dire .  il più francescano dei pontefici che si sono succeduti sulla cattedra di Pietro negli ultimi anni.

Antonio Fasolo Ofs


Napoli, 25 gennaio - Maria Cristina di Savoia, esempio di santità coniugale sarà proclamata beata il prossimo 25 gennaio, nel giorno anniversario dell’annuncio del Vaticano II da parte di papa Giovanni XXIII.

Tra gli esempi di santità coniugale vi è la venerabile Maria Cristina di Savoia (1812-1836), sposa, madre e regina che sarà beatificata nella Basilica di Santa Chiara a Napoli (dove riposano le sue spoglie mortali) dal cardinal Angelo Amato, Prefetto della congregazione delle Cause dei santi, il 25 gennaio prossimo, ossia proprio nel giorno anniversario dell’annuncio del Vaticano II da parte di papa Giovanni XXIII.

La Causa di beatificazione è stata propugnata dalla Postulazione dell'OFM, l'Ordine dei Frati minori. La nostra fraternità conserva due testi antichi che testimoniano come tra i terziari  francescani
sia stata sempre viva quale esempio di santità per i laici, non solo nella sua diocesi.

Rimandiamo, oltre ai siti segnalati a fondo pagina per conoscerne vita e virtù in santità alla biografia redatta dal postulatore dei Frati minori P. Gianni Califano,  per le edizioni Velar di Bergamo.

Maria Cristina di Savoia, donna di carità e regina dei poveri

biografia di Cristina di Savoia del 1883,
uno dei pochi libri scampati al rovinoso incendio
che divampò nella nostra fraternità
già ospitata dai frati al primo piano, accanto alla sagrestia:
l'attuale nostra sede, al piano terra, lungo il chiostro,
era allora locale del deposito di raccolta di materiale per i poveri.
Una scala a chiocciola univa i due locali.
L'incendio, divampato tra i panni del pian terreno, arrivò fino
al primo piano con inaudita forza distruggitrice.
In quell'incendio, oltre alla distruzione di molto materiale
documentario, fu  irrimediabilmente perso il nostro
antico stendarto, in panno tessuto a mano.
Tra i libri, miracolosamente salvatisi, si annoverano
le sue biografie della beata Maria Cristina di Savoia,
di cui si riproducono copertina e frontespizio.


Indagando sulle virtù della regina beata, approdiamo alle origini della sua ascesi personale e al fondamento stesso della santità cristiana, la carità. La carità! La pietra d'angolo o meglio la strada maestra sulla quale Maria Cristina si incamminò libera e sicura, fin dai primissimi anni della sua breve vita, per iniziare il suo cammino di sequela del Signore Gesù.
Nella tessitura di questi pensieri conclusivi, in modo del tutto naturale, si evince che la nota dominante di questa singolare storia di santità è la carità. Una disposizione naturale e soprannaturale che abbraccia come un raggio luminoso ed intreccia l'esperienza dell'agape cristiana nei suoi due inscindibili versanti, quello materiale e quello spirituale. Da qui partono e si dilatano gli spazi dell' amore cristiano nel cuore di ogni credente e di questa straordinaria donna di carità. E non solo! Questo vale per noi, se, talvolta, ci risulta difficile ridurre ad unità la molteplicità degli aspetti e delle esperienze; da parte sua la giovane Sovrana, con la sua vita, attesta in totale trasparenza e semplicità che tale unificazione è possibile, a condizione che l'amore evangelico stia realmente all'inizio di ogni scelta e di ogni azione. 
In questo contesto è impossibile non ricordare il precetto di non anteporre nulla all'amore di Cristo della Regola benedettina, incarnato nella quotidianità di questa esistenza così straordinaria. In tal senso, colpisce cogliere, quasi raccolte in una naturale quanto superiore unità, la predilezione per i poveri e la ricerca del volere di Dio; il sostegno alla gioventù esposta al pericolo e l' impegno per il perdono e la pace in famiglia e nella società; la scelta di stili di vita semplici e sobri e la difesa dei diritti inalienabili della persona umana. In sostanza ci si rende conto che la carità è l' elemento base su cui è fondata la breve ma difficile esistenza della Principessa Sabauda.

Se il santo è una persona che esperisce e rende visibile agli uomini e alle donne del suo tempo la perenne contemporaneità di Gesù Cristo con ogni generazione umana, allora nulla gli può essere estraneo di quanto è veramente umano. Ed è su questa base che si deve leggere il sorprendente anticipo con cui la Regina del regno di Napoli attuò la sua azione caritativa in ambito umano e sociale.
In solo tre anni, infatti, realizzò una lunga e sorprendente lista di opere di autentica carità e promozione umana a favore dei poveri, delle donne, dei malati. Basta ricordare il suo coraggioso impegno per restaurare la colonia di S. Leucio a Napoli per la produzione della seta e a Torre del Greco l'artigianato del corallo. Questo al fine di rimettere in piedi una economia dissestata, creando posti di lavoro anche per le donne e aiutare economicamente tante famiglie. Così pure, all'indomani dell' arrivo a Napoli, con una somma di denaro sottratta ai festeggiamenti nuziali Ferdinando II e Maria Cristina finanziarono il riscatto di tutti gli oggetti depositati in pegno al Monte di Pietà e preparare la dote per 240 prossime spose.

In ogni caso la "Regina dei poveri" dimostra il lato più genuino della sua altissima concezione della carità cristiana rivolgendo in primo luogo le attenzioni del suo grande cuore ai membri stessi della sua nuova famiglia. In un ambiente totalmente diverso per cultura e abitudini Maria Cristina con grande sensibilità umana e spirituale creò condizioni di incontro, di riappacificazione e di reciproco perdono. Infine, intelligente e ispirata all'amore cristiano risultò la sua mediazione presso il suo sposo per la commutazione delle condanne a morte alla pena del carcere anche per cospiratori e nemici. Ma è davvero commovente leggere la nota ultima della sua carità. Alla sua morte venne consegnato al re il "tesoro della Regina": un grosso baule nel quale erano conservate le ricevute rilasciate al padre Terzi dagli innumerevoli beneficati di Maria Cristina. Una notizia che si commenta da sé. Maria Cristina, regina delle Due Sicilie, come il santo martire Lorenzo, aveva stimato ed amato i poveri come il tesoro della Chiesa. Ed è proprio questo il segreto e la polla sorgiva della sua santità. 
 
biografia sintetica
di P. Gianni Califano

 
Dossier con testi, immagini, commenti, liturgia, studi in:

http://www.cristianocattolico.it/catechesi/santi/bicentenario-della-nascita-della-venerabile-maria-cristina-di-savoia.html
 
RASSEGNA STAMPA

Roma, (Zenit.org)

“Credo, Domine! Credo, Domine!”. Sono queste le ultime parole di Maria Cristina di Savoia, pronunciate sul letto di morte il 31 gennaio 1836, ad appena ventitré anni d’età. Principessa del Regno di Sardegna per nascita e regina delle Due Sicilie per matrimonio, Maria Cristina condusse una vita di profonda fede cristiana: umile e sobria, non mancò mai di attenzioni ai poveri e agli emarginati, vivendo la sua posizione di privilegio come uno strumento “per diffondere più efficacemente il bene”.
Lo afferma padre Giovangiuseppe Califano, postulatore della Causa di beatificazione della “Reginella Santa”, come è chiamata Maria Cristina di Savoia dal popolo. Quello stesso popolo che sabato prossimo, 25 gennaio, gremirà la basilica napoletana di Santa Chiara, ove si celebrerà il rito di beatificazione. A pochi giorni dall’evento, abbiamo intervistato padre Califano per tracciare un profilo di questa giovane sovrana che ha scritto una pagina di santità della storia d’Italia.

Padre Califano, quando e come è iniziato il processo di beatificazione di Maria Cristina di Savoia?

Si tratta di una Causa storica avviata ad appena 16 anni dalla morte della Serva di Dio, nel 1852. Del resto una vasta fama di santità l’aveva circondata in vita, e alla sua morte si accrebbe, a motivo delle molte grazie che si attribuivano alla sua intercessione. Il 9 luglio 1859 il beato Pio IX autorizzò l’istruzione del Processo Apostolico. Pio XI il 6 maggio 1937 confermò con Decreto l’eroicità delle virtù della Venerabile Serva di Dio. Il secondo conflitto mondiale e l’avvento della Repubblica in Italia determinarono una sosta nello studio della Causa, patrocinata inizialmente dalla Casa di Savoia. La devozione verso la Serva di Dio si mantenne però nel tempo sempre viva. La ripresa della Causa verso il traguardo della beatificazione si è avuta nell’anno 2004, per interessamento dell’Associazione Convegni di Cultura Maria Cristina di Savoia, che nominò il Postulatore, P. Luca M. De Rosa dell’Ordine dei Frati Minori, con l’incarico di avviare lo studio di un presunto miracolo. La Copia Pubblica dei Processi relativi a questa guarigione miracolosa era conservata nell’Archivio della Postulazione generale dei Frati Minori. Fu dunque alquanto facile riprendere l’iter della Causa dal punto in cui la si era lasciata.

Che risonanza sta suscitando questa beatificazione?

In questi ultimi anni la Chiesa ha elevato agli onori dell’altare un gran numero di testimoni della fede e della carità, appartenenti ad ogni categoria del popolo di Dio. Certamente è singolare la beatificazione di una regina. Tuttavia si tratta di una beatificazione attesa da molti fedeli, soprattutto nelle diocesi legate alla figura della beata. Mi riferisco alla diocesi di Cagliari e alla Sardegna in genere, dove non sono mai mancate in questi anni opportune commemorazioni, messe celebrative, anniversari. La beata è anche rappresentata nella volta della Cattedrale di Cagliari, insieme agli altri santi e beati dell’isola. A Napoli e nella Campania è vivo il suo ricordo nelle chiese e nei santuari, come ad esempio quello di S. Filomena a Mugnano, da lei visitato e beneficato. Al rito di beatificazione di sabato 25 gennaio nella basilica di S. Chiara in Napoli si annunciano numerose delegazioni di fedeli provenienti proprio dai luoghi che ho citato. La devozione verso la nuova beata è poi molto viva in tutte quelle istituzioni che si riferiscono a diverso titolo alle case reali di Savoia e di Borbone, istituzioni che si sono impegnate a promuovere opportunamente il nuovo culto.

Può raccontarci un po’ del prodigio che ha reso possibile la beatificazione?

Si tratta della guarigione di Maria Vallarino, avvenuta a Genova nel 1866. La donna svolgeva l’attività di cameriera presso la marchesa Antonia Carrega, e nel mese di giugno di quell’anno notò una tumefazione grossa come una noce nella mammella destra. La diagnosi clinica posta dal medico, cui la marchesa l’aveva prontamente inviata, fu di tumore maligno scirroso. Dopo un paio di mesi di cure palliative, a base di unguenti e impiastri, in assenza di ogni miglioramento, il medico propose l’estirpazione. La Vallarino rifiutò decisamente, anche perché si trattava di un rimedio non risolutivo della malattia, ormai divenuta devastante. Infatti un secondo medico chirurgo, consultato nella speranza di poter ricevere un differente verdetto, non poté che confermare la presenza di uno scirro al secondo periodo con resistenze tubercolose, ossia di un di un tumore scirroso altamente maligno e inguaribile. La donna, allora si rivolse alla preghiera. Ottenuta una reliquia di tessuto appartenuto alla Venerabile, la applicò alla parte malata invocando con fede: “Gesù, o Buon Gesù, glorificate la vostra Serva Maria Cristina”. Da quel momento iniziò a notare la rapida riduzione del male che scomparve del tutto in pochissimi giorni. Per ben 39 anni, fino alla morte, la Vallarino non ebbe alcuna recidiva, come poterono rilevare ben sei periti medici che la esaminarono per mandato del Tribunale ecclesiastico.

Vuol parlarci invece della vita di Maria Cristina di Savoia?

Maria Cristina era la quarta ed ultima figlia di Vittorio Emanuele I e Maria Teresa, nata a Cagliari nel 1812, all’epoca in cui Torino era invasa dalle truppe napoleoniche. La sua era una famiglia reale, segnata però da una continua precarietà determinata dagli avvenimenti politici del tempo. Maria Cristina maturò la convinzione che il trono non fosse affatto un privilegio, ma un dovere da assolvere nel migliore dei modi, e che portava con sé sofferenze e privazioni. Le testimonianze rilasciate su di lei al processo diocesano di Napoli, ci trasmettono il ritratto di una ragazza normale della sua epoca, amava molto ballare, cavalcare, conversare, giocare con i bambini più piccoli, allevare uccellini, coltivare fiori. Fisicamente veniva giudicata di “bellezza straordinaria”; e il fatto poi che vestisse con modestia le guadagnava ancor di più le attenzioni maschili, tanto che quando si recava a Messa nella chiesa dei Filippini a Genova, i giovanotti si assiepavano lungo la strada per vederla scendere dalla carrozza. Alla morte della madre Maria Teresa nel mese di marzo 1832, Carlo Alberto dispose che la principessa sposasse senza indugio Ferdinando II di Borbone, cosa che avvenne pochi mesi dopo, il 21 novembre dello stesso anno. Maria Cristina vide in tutta questa vicenda, da lei molto sofferta perché in contrasto con l’intimo desiderio di farsi monaca, il realizzarsi del disegno di Dio. Ed infatti non ebbe il benché minimo dubbio che il suo matrimonio fosse voluto dalla provvidenza, perché lei stessa sperimentò nel nuovo stato quella felicità che aveva a lungo desiderato. Poté scrivere infatti alla sorella: “Non credevo si potesse essere così felici …si vede che tutto questo affare è stato condotto da Dio”.

Che moglie fu Maria Cristina?

La regina sabauda fu per il giovane sovrano di Napoli la compagna ideale, ricca di premure, di saggi consigli, lieta e serena. Comunicò la ricchezza della sua fede allo sposo, ai familiari, al personale di corte, mantenendo le religiosi abitudini che da sempre l’avevano contraddistinta. Con il suo buon carattere seppe comporre le tensioni familiari e creare un clima di distensione e di reciproco rispetto. Come moglie e come sovrana desiderò e attese il dono della maternità per poter dare alla luce l’erede. Fu solo nella primavera del 1835, dopo più di due anni di matrimonio, che Maria Cristina avvertì in sé la presenza di una nuova vita. Misteriosamente avvertiva il presagio di una morte imminente, per cui dispose di tutte le sue cose, raccomandando la carità ai poveri. Il 16 gennaio 1836 nacque il principe erede, Francesco II, ma la regina venne colta da febbre puerperale, causata forse da setticemia, e fu chiaro che la sua vita si sarebbe spenta in pochi giorni. Nell’agonia ripeteva spesso quelle che sarebbero state le sue ultime parole: “Credo in Dio, spero in Dio, amo Iddio”. Morì nel compianto generale il 31 gennaio 1836.

Con che spirito ha vissuto la posizione di privilegio nella quale si era venuta a trovare?

Maria Cristina, dalla sua forte esperienza di fede, trasse l’intimo convincimento di essere stata collocata dalla vita in un’alta posizione sociale per diffondere più efficacemente il bene. Della sua vita di regina di Napoli alcuni tratti vanno sottolineati: la volontà e la determinazione con la quale seppe immergersi in un mondo tanto diverso dal suo; la saggezza e la delicatezza con cui seppe intervenire presso lo sposo in questioni gravi, come la revoca di parecchie condanne a morte. Praticamente finché visse non fu applicata la pena capitale, non solo per i delitti comuni, ma nemmeno per i cospiratori della congiura del 1833 che volevano attentare alla vita del Re. Con la persuasione e la convinzione che un sovrano deve essere più amato che temuto, Maria Cristina ottenne che le condanne fossero commutate con il carcere. Questi gesti ispirati dalla Regina valsero al re il consenso popolare. Fu poi molto attenta a promuovere il lavoro femminile, pur secondo le modalità dell’epoca. Provvedeva alla dote delle fanciulle povere perché potessero accasarsi dignitosamente e non cadere in pericolo. In quest’ottica di attenzione alla condizione soprattutto della donna, curò in modo particolare la colonia di S. Leucio, fondata nel 1789 da Ferdinando I per la lavorazione dei damaschi di seta, ormai caduta in degrado. Maria Cristina intuì subito l’importanza sociale della colonia. Convinse il marito che lasciar crollare quegli stabilimenti era “un male inteso risparmio”; diede, quindi, vita ad una complessa iniziativa di carattere industriale per ridare vita alla colonia e migliorare così la vita degli abitanti. Lei stessa poi vestiva esclusivamente sete uscite da S. Leucio, in modo da “contagiare” così le signore del Regno e farne propaganda anche all’estero.

Casa Savoia è nota soprattutto per le vicende storiche e politiche che la legano alla nostra storia. Al di là di ciò, è però ricca anche di personalità che, nel corso dei secoli, hanno testimoniato solida fedeltà alla Chiesa ed esempi di santità. È vero?

Sicuramente in Maria Cristina di Savoia, educata in modo molto religioso e sobrio dalla madre, aveva fatto breccia l’esempio e la fede dei suoi santi avi. Tra essi vanno menzionati il beato Amedeo IX di Savoia (1435-1472) il cui culto fu confermato da Innocenzo XI nel 1677; la Ven. Francesca Caterina di Savoia (1595-1640) e sua sorella Maria, terziaria francescana (1594-1656), fondatrici delle Figlie di S. Maria di Oropa; la beata Margherita di Savoia, monaca domenicana. Più vicini a Maria Cristina furono i suoi santi zii: il fratello del padre, Carlo Emanuele IV che, dopo avere perduto il Piemonte, divenuto francese con Napoleone, aveva abdicato nel 1802 proprio a favore del padre di Maria Cristina. Profondamente pio, aveva sposato Maria Clotilde Saveria Borbone, sorella dell’infelice Luigi XVI, condividendo con lei una vita di profonda fede e carità. I due sovrani si distinsero per semplicità di vita, carità intensa, preghiera alla quale dedicavano buona parte del loro tempo e armonia di intenti e affetti. Maria Clotilde morì in esilio a Napoli nel 1802 e nel 1808, per volontà espressa del Papa, ad appena sei anni dalla morte venne dichiarata Venerabile e fu aperta la sua causa di canonizzazione. Il marito che l’aveva profondamente amata, ritornò quindi a Roma dove entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù. In tempi più recenti di quelli di Maria Cristina, ricordiamo la Venerabile Maria Clotilde di Savoia Bonaparte (1843-1911) la cui causa di beatificazione fu introdotta il 10 luglio 1942. Accettò le nozze con Girolamo Napoleone Bonaparte con la speranza di poter avvicinare quella famiglia a Dio. Ritiratasi a vita privata, dal suo castello di Moncalieri fu punto di riferimento per tutti coloro che si trovavano in difficoltà.

Quale messaggio propone la figura di Maria Cristina sul piano umano, a una donna moderna?

Maria Cristina si contraddistinse per l’applicazione allo studio, che le permise di acquisire una cultura vasta e originale per una donna della sua epoca. In qualche modo Maria Cristina sentì il dovere di prepararsi adeguatamente ai doveri che la vita le avrebbe posto innanzi. Divenuta regina esercitò, per quanto era in suo potere, l’obiezione di coscienza verso l’applicazione della pena di morte; mostrò di comprendere e voler sollevare le condizioni disagiate delle donne del popolo; intraprese con piglio imprenditoriale la riattivazione delle seterie del Real Sito di San Leuci. Ma mi sembra di poter dire che la sua modernità si esprima in una concretezza evangelica che esce dagli schemi usuali delle pie regine sue contemporanee, che professavano una religiosità magari convinta ma limitata alle pratiche di pietà e alle opere pie, che rientravano nella tradizione delle corti cattoliche. Il “santo” vive profondamente inserito nella realtà a lui contemporanea; è uomo o donna del suo tempo che vive la realtà nella quale si trova storicamente; la vive però secondo l’ottica evangelica e pertanto, in questa ottica, ha una visione diversa, a volte più aperta, a volte addirittura in contrasto con il mondo e la società che lo circonda. Per questo concludo dicendo che Maria Cristina propone alle coscienze l’impegno di una sincera ricerca del bene comune, tanto più urgente, quanto maggiori sono le responsabilità che ci sono affidate.


SAT2000