JOSE' RODRIGUEZ CARBALLO: "RONCALLI E E IL SANTO DI ASSISI, LE VIRTU' FRANCESCANE SUL SOGLIO DI PIETRO".

di JOSÉ RODRÍGUEZ CARBALLO*

Nel 1964 Luigi Santucci così scriveva: «Mi pare che il più grande discepolo di san Francesco, da un secolo in qua, sia stato proprio un papa: Papa Roncalli». Lo scrittore si espresse in tal modo, non perché Papa Giovanni XXIIIf u definito il Papa Buono, ma perché fu davvero un “francescano”.

Infatti, nel discorso del 16 aprile 1959 a San Giovanni in Laterano, in occasione del settecentocinquantesimo dell’approvazione della Regola di san Francesco, così si presentò ai membri dell’Ordine francescano secolare: «Ego sum Ioseph, frater vester. Con tenerezza amiamo dirlo. Lo siamo da quando giovanetto quattordicenne appena, il 1° marzo 1896, vi fummo ascritti regolarmente... ed amiamo benedire il Signore per questa grazia che Ci accordò». 

In più passi de Il Giornale dell’Anima, delle lettere, dei discorsi, Papa Roncalli ha rivendicato tale appartenenza, affermando che ciò gli aveva procurato «grandi vantaggi spirituali», specialmente, gli aveva permesso di passare dal «Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo».
Questo emerge in molti tratti della sua vita, del suo modo di parlare, di ricordare, di relazionarsi agli altri, In una parola, ciò affiora dalle sue virtù “francescane”. Fedele seguace di san Francesco di Assisi, «una figura che c’incanta sempre», lo imitò nella povertà, di cui tesse gli elogi in vari discorsi. Più che altro, la visse anche quando fu chiamato a ricoprire cariche prestigiose. «Nato povero, ma di onorata ed umile gente — scrisse nel suo testamento — sono particolarmente lieto di morire povero. Ringrazio Dio di questa grazia di povertà che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né denari, né favori; mai, né per me, né per i miei parenti o amici».
La povertà, annotò ne Il Giornale dell’Anima ,«mi fa rassomigliare a Gesù povero e a San Francesco ».
Alla povertà GiovanniXXIII ha unito una grande umiltà.
«Se voi sapeste — confidava — quale rossore io provo a sentirmi chiamare: Santo Padre. Davanti a Dio siamo tutti suoi piccoli figli. Io mi considero un sacco vuoto che si lascia riempire dallo Spirito».
Non è un caso, tra i primi santi francescani canonizzati da Giovanni XXIII ci fu un «modestissimo fratello laico dei frati minori», san Carlo da Sezze.

Possedeva Papa Roncalli un’altra virtù tipicamente francescana, l’obbedienza: lo rendeva disponibile a ogni incarico che gli venisse affidato («il Santo Padre disponga pure della mia umile persona in perfetta libertà di spirito...»); specialmente la dimensione ecclesiale della sua obbedienza.
Di fatti, sempre nel discorso del 1959, Papa Giovanni XXIII legava l’obbedienza al fatto che Francesco andò da Papa Innocenzo per farsi approvare lo stile di vita suggeritogli dal Signore: ovvero, vivere secondo il Vangelo «sempre sudditi e soggetti ai piedi della Chiesa, stabili nella fede cattolica» (Regola, 12, 4).
Il 'voto di obbedienza' per Angelo Roncalli è obbedienza «al Papa e alla Chiesa - annotava nel Giornale dell’Anima - poi a frate Francesco, in tutti i suoi successori ».

Francesco, povero ed umile, per Angelo Roncalli è anche araldo della pace. Ciò risulta dalla sua predilezione per il motto francescano: pax et bonum; dalle molteplici riflessioni, contenute in particolare nel Giornale dell’Anima, su ciò che dice Francesco a proposito della pace; dal suo “modo operandi”: la bontà che regnava nel cuore del Papa buono, si traduceva in un amore incondizionato verso tutti.

Tale bontà non proveniva dal suo carattere bonario, ma scaturiva da una provata virtù. Infine, che cosa dire dell’«attributo caratteristico e fondamentale di ogni fratello in san Francesco? Lo spirito di cattolicità e di apostolato — disse Papa Giovanni XXIII nel discorso del 16 aprile 1959 — quale Francesco lo presentò ai suoi contemporanei, lo lasciò in eredità ai suoi frati, dopo averlo sancito come un precetto nella santa regola». Tale dimensione di cattolicità e di missionarietà di Papa Roncalli si evince in tutte le vie da lui percorse in Oriente e Occidente. Soprattutto nella sua volontà di porre il concilio Vaticano II, che stava per aprirsi, sotto la protezione di san Francesco, che molti secoli prima era riuscito a promuovere un profondo rinnovamento della Chiesa. Nell’o ccasione del pellegrinaggio ad Assisi, siamo al 4 maggio 1962, tra l’altro disse: «O città santa di Assisi, tu sei rinomata in tutto il mondo per il solo fatto di aver dato i natali al Poverello, al santo tutto serafico in ardore».
Queste parole lasciano trasparire la grande venerazione che Giovanni XXIII nutriva per il serafico padre san Francesco che, con il suo voler vivere semplicemente secondo il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, riuscì a rivoluzionare la Chiesa.

*Arcivescovo segretario
della Congregazione per gli istituti di vita consacrata
e le società di vita apostolica

 L’OSSERVATORE ROMANO - domenica 27 aprile 2014 - pagina 7

SAN LUIGI IX - OTTOCENTESIMO DALLA NASCITA (1214 -2014)

Si sono aperti ieri i festeggiamenti per gli ottocento anni dalla nascita di San Luigi IX , re di Francia e patrono dell'Ofs.

Luigi o Ludovico IX. terziario francescano, nacque a Poissy il 25-4-1214. In seguito alla repentina morte del padre, Ludovico VIII, divenne re a undici anni, sotto la tutela della madre, Bianca di Castiglia. Donna prudente ed energica, ella seppe trionfare delle resistenze dei nobili miranti a sminuire il regio potere; indusse Raimondo VII di Tolosa a porre fine alla guerra contro gli albigesi (1229); riunì alla corona francese il ducato di Narbonne: si assicurò la successione al contado di Tolosa. L'Alta Provenza invece fu ceduta alla Chiesa, donde la sovranità dei Papi sul Venosino e Avignone.
Ludovico IX, alto, esile, allevato con cura dalla madre rigidamente cattolica, a diciannove anni fu dichiarato maggiorenne e sposò Margherita, figlia del conte di Provenza (1234), che doveva dargli undici figli. A ventun anni la reggente gli rimise il potere, ma il figlio volle riservarle una larga partecipazione al governo, il che gli consentì di circondarsi di saggi e illuminati ministri che lo coadiuvarono nell'assicurare pace e prosperità al suo popolo. Egli passò difatti alla storia come il migliore e il più tipico monarca cristiano del Medio Evo, modello a tutti di giustizia e d'imparzialità. Non soltanto i suoi feudatari, ma anche sovrani stranieri e papi ricorsero sovente al suo giudizio arbitrale nelle loro contese. E' rimasto famoso il lodo pronunciato da lui ad Amiens il 24-1-1264 nel conflitto tra Enrico III, re d'Inghilterra, e i suoi baroni.
I rapporti tra Ludovico IX e la Chiesa furono sempre cordiali. Se durante il suo regno permise che in Francia fosse introdotta l'Inquisizione romana, non permise mai al clero e al papa invadenze nel proprio dominio. A varie riprese ebbe a protestare contro le esigenze finanziarie di Innocenzo IV (+1254), e permise la costituzione di leghe fra i suoi baroni, intente a protestare contro le aspirazioni del clero all'indipendenza dalla giustizia regia nelle questioni temporali e a limitare l'accrescimento della ricchezza delle chiese e dei conventi a danno dei possessori laici. Nel conflitto tra il papato e il dissoluto imperatore Federico II, deposto nel concilio di Lione (1245) da Innocenzo IV, assunse un atteggiamento di assoluta neutralità. Intraprese opera di mediazione presso il papa nel convento di Cluny, ma restò infruttuosa. Quando l'imperatore, poco prima di morire (11250), concepì il disegno d'impossessarsi del Sommo Pontefice a Lione, egli gli fece sapere che a quell'impresa si sarebbe opposto con la forza. Quando Urbano IV (+1264) decise di sottrarre a Manfredi, figlio naturale di Federico II, il regno delle Due Sicilie per offrirlo a Carlo D'Angiò, fratello di Ludovico IX, questi non lo sostenne formalmente, ma permise a molti suoi baroni di prendere parte alla spedizione (1265).
Il Concilio di Lione (ecumenico XIII) aveva lanciato un appello invocante aiuto per i cristiani della Palestina ridotti nel 1244 dal sultano d'Egitto soltanto al possesso di loppe, Accon e Antiochia. Nel crescente raffreddamento per la santa causa, solo Ludovico IX fece voto di crociarsi appena fosse guarito della malattia che lo travagliava, e di mettere con disinteresse al servizio della sesta crociata tutte le sue energie. Nel 1248 partì infatti con un imponente esercito alla volta dell'Egitto. Dopo la conquista di Damietta ( 1249), mentre si avvicinava al Cairo, fu sconfitto a Mansura con tutto il suo esercito, decimato dalla peste (1250), a causa della disobbedienza di suo fratello, Roberto d'Artois, che aveva attaccato il nemico senza attendere il grosso dell'esercito. Nella ritirata Ludovico IX fu fatto prigioniero. Riscattò se stesso e i suoi compagni di sventura superstiti con una somma di 800.000 bisanti e la restituzione di Damietta. Si trattenne ancora a S. Giovanni d'Acri fino al 1254 e liberò molti prigionieri cristiani tra la generale ammirazione dei saraceni che lo avevano soprannominato il Sultano giusto. Non poté aspirare a risultati migliori perché gli vennero a mancare gli aiuti dalla patria. Durante la sua assenza Bianca di Castiglia, reggente del regno, aveva represso la rivolta dei pastorelli o contadini (1251).
Alla morte della madre (+1252) Ludovico IX tornò in Francia dove provvide all'organizzazione dei suoi stati e al consolidamento dell'autorità reale; interdisse le guerre private nei suoi domini; nominò degli "inquirenti reali" incaricati di visitare le province per prevenire o reprimere gli abusi dei balivi, siniscalchi e prevosti; abolì l'antica consuetudine del duello giudiziario; impose la "quarantena del re" di Filippo Augusto, suo nonno, cioè i 40 giorni che dovevano intercorrere tra l'offesa e la vendetta, durante i quali uno dei due avversari poteva ricorrere alla giustizia regia e mutar la guerra in un processo; istituì i casi di esclusiva competenza del sovrano, che egli esaminò nel bosco di Vincennes, seduto sotto una quercia; chiamò a sedere davanti ai tribunali legisti perché consigliassero i giudici; creò una commissione giudiziaria a corte che fu l'origine del parlamento; fece degli sforzi in vista di realizzare l'unità monetaria; favorì la fioritura della vita comunale; combatté le eresie degli albigesi e dei valdesi; promosse la pubblicazione del Libro dei Mestieri, vero codice industriale, superiore al suo tempo; proscrisse l'usura e i giochi d'azzardo; assicurò i privilegi del clero mediante la Prammatica Sanzione (1269); edificò a Parigi la Sainte- Chapelle in onore della corona di spine; eresse il collegio teologico (1257) detto poi la Sorbonne; fondò le Filles-Dieu per le donne cadute; gli ospedali di Pontoise, Vernon, Compiègne per i malati; i Quinze-Vingts per i 300 cavalieri abbacinati dai saraceni; emulò le opere buone compiute da S. Giovanni da Matha con la fondazione dell'ordine della SS. Trinità, al quale fu affiliato l'11-6-1256.
In politica estera Luigi IX cercò di eliminare i motivi di attrito tra la Francia e i paesi vicini. Una lega feudale, capitanata da Ugo il Bruno, conte delle Marche, e sostenuto da Enrico III, re di Inghilterra, fallì perché il santo re forzò il ponte di Taillebourg, e riportò una seconda vittoria a Saintes ( 1242). Convinto però che la pace deve essere fondata sul diritto, regolò il conflitto anglo - francese cedendo al re d'Inghilterra, col criticato trattato di Parigi (1259), la Guyenne, Limoges, Cahors e Périgueux, ottenendo in cambio la Normandia, l'Anjou, la Turenna, il Maine e il Poitou, terre già confiscate da Filippo Augusto a Giovanni senza Terra (+1216 ), dopo che lo aveva dichiarato decaduto dai suoi feudi francesi per l'assassinio del Plantageneta Arturo di Bretagna, pretendente come lui al trono d'Inghilterra, alla morte di Riccardo Cuor di Leone, suo fratello.
La figura di Ludovico IX restò circonfusa dell'aureola della santità. Il sire di Joinville, suo amico, ce ne lasciò una biografìa che è uno dei primi monumenti della letteratura storica francese.
I cristiani di Palestina nel 1268 perdettero anche loppe e Antiochia. Per compiacere Carlo d'Angiò, Ludovico IX intraprese allora (1270) l'ottava crociata, e si diresse prima a Tunisi, malgrado i consigli del papa, lo scontento dei vassalli e la sua cattiva salute, cullato dall'illusione che l'emiro di quella città fosse disposto a farsi battezzare con il suo popolo, per poi marciare contro l'Egitto come alleato degli occidentali. Nelle vicinanze di Cartagine scoppiò tra i soldati il tifo, che falcidiò l'esercito appena sbarcato e ridusse in fin di vita lo stesso re che a Tunisi morì il 25-8-1270. Agli inviati del principe della città aveva detto: "Desidero così vivamente la salvezza della sua anima che consentirei di restare nelle prigioni dei saraceni tutta la mia vita senza mai vedere il giorno, purché lui e tutta la sua gente si facciano cristiani".
La pietà di Ludovico IX fu sincera e senza affettazione benché il messaggero di Gueldre (Olanda) lo schernisse perché "bacchettone, collo torto e col cappuccio sulle spalle". Tutti i giorni ascoltava due messe e recitava le ore come i chierici. Amava ascoltare la parola di Dio, leggere la Bibbia, meditare i Padri e intrattenersi in questioni teologiche. A sera, prima di coricarsi, recitava 50 Ave Maria e faceva altrettante genuflessioni. Nei viaggi si fermava così a lungo nelle chiese che il suo seguito s'impazientiva.
A mensa era molto frugale. Volentieri si privava delle primizie e dei pesci di cui era ghiotto. Ogni venerdì si confessava e si faceva flagellare dal sacerdote con cinque catenelle di ferro. Portava il cilicio e ne offriva in dono agli amici. Durante l'avvento, la quaresima e ogni volta che si accostava alla Comunione dormiva da solo. Dopo che era stato con la regina non si permetteva di baciare i reliquiari. Per i poveri nutrì sempre un amore sviscerato. Invitava sovente i mendicanti alla sua tavola, li serviva e mangiava i loro avanzi. Visitava i lebbrosi e curava i malati più ripugnanti. In Palestina fece anche il becchino. Bonifacio VIII lo canonizzò nel 1297.
___________________
Sac. Guido Pettinati SSP,
I Santi canonizzati del giorno, vol. 8, Udine: ed. Segno, 1991, pp. 281-284
http://www.edizionisegno.it/

Camminando sulle orme del Vangelo ... Anno A - 5ta di QUARESIMA nel commento di Adelaide Rossi



Gv. 11, 1-45



Se Cristo richiama Lazzaro dalla tomba è segno che egli ha il potere sulla morte. Ancora con la venuta di Gesù, e dopo di essa, la morte colpisce l’uomo. Ma la fede nel Signore “risurrezione e vita” dev’essere più forte del pianto più forte del pianto: con essa è superata la morte definitiva.

La storia di Lazzaro è stata scritta per dirci che c’è una risurrezione del corpo, che avverrà “nell’ultimo giorno”, e c’è una risurrezione del cuore, che avviene, o può avvenire, ogni giorno.
La liturgia evidenzia il significato della risurrezione di Lazzaro con la prima lettura di Ezechiele sulle ossa aride ( Ez. 37, 12-14 ).
“Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe… Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete”. In questo caso non si tratta della risurrezione finale dei corpi, ma della risurrezione dei cuori alla speranza. Questi cadaveri che si rianimano, altro non sono che il popolo di Israele che tornava a sperare dopo l’esilio.
Tutto questo ci porta a dedurre che facilmente si può essere morti, mentre siamo ancora in questa vita. E il mio riferimento non è rivolto alla morte dell’anima a causa del peccato; parlo di quello stato di totale assenza di energia, di speranza, di voglia di lottare e di vivere, che non si può chiamare con nome più indicato che questo: morte del cuore.
A tutti quelli che per ragioni più diverse (matrimonio fallito, tradimento di coniuge, crisi depressive, rovesci finanziari, problemi di alcolismo, di droga…) si trovano in questa situazione, la storia di Lazzaro dovrebbe rimuovere la speranza.
Chi può darci questa risurrezione del cuore?
Bisogna “chiamare Gesù”, come fecero le sorelle di Lazzaro.
Invocarlo come fanno le persone che bisognose di aiuto, richiamano con i loro gemiti l’attenzione dei soccorritori. Non sempre, però, siamo in grado di pregare. Spesso siamo come Lazzaro nella tomba. Bisogna che siano altri a fare qualcosa. Una volta Gesù, rivolto ai suoi discepoli, disse: “Guarite gli infermi, resuscitate i morti” ( Mt. 10,8). Cosa intendeva dire Gesù: che dobbiamo resuscitare fisicamente dei morti? No. Gesù parla di morti nel cuore, i morti spirituali.
Quel comando: “Risuscitate i morti” è rivolto a tutti i discepoli di Cristo. Anche a noi.
Adelaide Rossi, ofs 


Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 11,1-45.
 
In quel tempo, era malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato.  Le sorelle mandarono dunque a dirgli: - «Signore, ecco, il tuo amico è malato».
All'udire questo, Gesù disse: - «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato».
Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro.
Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava.
Poi, disse ai discepoli: - «Andiamo di nuovo in Giudea!».
I discepoli gli dissero: - «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».
Gesù rispose: - «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: - «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo».
Gli dissero allora i discepoli: - «Signore, se s'è addormentato, guarirà».
Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno.
Allora Gesù disse loro apertamente: - «Lazzaro è morto  e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!».
 Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era gia da quattro giorni nel sepolcro.
Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia  e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.  Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!
Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà».
Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà».
Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno».
Gesù le disse: - «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?».

Gli rispose:  - «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».
Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: - «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui.  Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: - «Va al sepolcro per piangere là».
Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».
Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse:  - «Dove l'avete posto?». Gli dissero: - «Signore, vieni a vedere!».
Gesù scoppiò in pianto.
Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!».
Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».
Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra.
Disse Gesù::  - «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: - «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni».
Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?».
Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: - «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato.  Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».
E, detto questo, gridò a gran voce: - «Lazzaro, vieni fuori!».
Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: - «Scioglietelo e lasciatelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.

27 APRILE 2014 / OFS D'ITALIA - L'ORDINE FRANCESCANO SECOLARE ALLA CANONIZZAZIONE DI GIOVANNI PAOLO II E GIOVANNI XIII IN PIAZZA SAN PIETRO - INFORMAZIONI

Prot. n. 231/CIRC.28 A/14
 

Roma, 31 marzo 2014

AI FRANCESCANI SECOLARI D'ITALIA
e p.c. AL PRESIDENTE NAZIONALE GI.FRA.

Oggetto: Canonizzazione Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II

Carissimi,
in occasione della canonizzazione di Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II del prossimo 27
aprile non faremo mancare la nostra presenza in Piazza S. Pietro dove cercheremo di formare un gruppo unico.
Alcune Fraternità del Lazio (Paliano, Colleferro, Valmontone) si sono rese disponibili a fare da punto di riferimento in Piazza e attendono tutti in Piazza san Pietro, intorno alla fontana di sinistra (guardando la Basilica).
Questi i nomi e i recapiti dei fratelli che potrete contattare per ogni informazione:

Giovanni Laurenzi cell. 334.9104600
Alberto Girardi cell. 333.1896230
Giampiero Rosati cell. 339.7068673

Come saprete, mentre molti di voi saranno in Piazza, i responsabili nazionali e regionali saranno riuniti a Napoli per la seconda assemblea pre-elettiva. E' significativo questo nostro impegno di famiglia e la capacità di vivere insieme la preghiera e l'azione. 

Onoreremo così i due Pontefici, che ricordiamo come modelli di fede concreta, di preghiera e di azione a vantaggio della missione della Chiesa.

Con l'augurio di santità, vi auguro la Pace e ogni Bene, Gianpaolo Capone 
  • Segretario Nazionale: Gianpaolo Capone - Via Perfetti, 5 - 65012 Cepagatti (PE) - cell. 333.3682828 - e.mail: segretario@ofs.it

INDIRIZZI UTILI:

  • Ministro Nazionale: Remo Di Pinto – Via Domenico Berti, 6 - 00135 Roma - e.mail: ministro@ofs.it
  • Segreteria: Viale delle Mura Aurelie, 9 - 00165 Roma - tel./fax 06.632494 - e.mail: segreteria.assisi@ofs.it