TOMMASO DA CELANO: IL MISTERO DEL NATALE E IL PRESEPE DI GRECCIO. (1 Cel 84-87 : FF 466-471)

 Il primo incontro di Formazione permanente infrasettimanale è stato rivolto dal Padre assistente Ernesto Dezza alla lettura e meditazione dei passi della Vita prima di San Francesco scritta da Tommaso da Celano  (1 Cel 84-87 : FF 466-471) in cui si narra l'invenzione del presepe di Greccio.

Cartoncino realizzato dal Laboratorio
artistico "La barca di S. Antonio"
84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.  Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.  C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.

PRESEPE VIVENTE ALL'ANFITEATRO CASTRENSE presso la BASILICA SANTA CROCE IN GERUSALEMME

Ambientato nell’anfiteatro castrense giunge alla sua 2a edizione. Anche quest’anno vi parteciperà la novizia e prossima professa Silvia Tassi e anche quest’anno, il 6 gennaio, organiziamo un gruppetto per andare a visitarlo. 

Per partecipare: Antonio Fasolo / 06-76906397 – 329-0642272

28 Dicembre - S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Commento al Vangelo del giorno di Adelaide Rossi

Domenica fra l’ottava del Natale
SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE
Gn 15,1-6; 21,1-3; Sal 104 (105);
Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40 

Luca 2,22-40 

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
 
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
 
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
 
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.


In Gesù la nostra umanità viene liberata dalla schiavitù della colpa. Comprendiamo perché Dio sia chiamato “grande e misericordioso”: perché solo la potenza e la misericordia potevano donarci il Liberatore che vince il peccato.

Gesù Bambino è consacrato a Dio. Sulla croce lui stesso si offrirà e si dedicherà al Padre, dopo tutta una vita di appartenenza a lui. Questa appartenenza totale, con cui compirà il disegno divino, sarà motivo di condanna o di salvezza: a seconda della fede o del rigetto. La famiglia è costituita da un insieme di rapporti: tra marito e moglie, tra genitori e figli. Oggi, tendiamo a chiudere qui il cerchio familiare. Ma non è così: c’è un altro rapporto più largo: quello tra nonni e nipoti, o tra anziani e giovani, che pure è parte integrante di ogni normale famiglia umana.
Quest’anno le letture ci offrono l’occasione di riflettere proprio su quest’ultima componente della famiglia: gli anziani. Ognuna delle tre letture ci presenta una coppia di anziani: nella prima e seconda lettura essi sono Abramo e Sara; nel Vangelo, Simeone e Anna.
Gli anziani sono quelli che più hanno risentito dei vertiginosi mutamenti sociali dell’era moderna. Nella Bibbia, come nelle società antiche, gli anziani erano i pilastri intorno a cui ruotava la famiglia e la società. Oggi, invece, vengono quasi “emarginati”.
La società li considera come espressione di “un’età poco fruttifera” per la società. Il termine pensio- namento ha un po’ questo significato (in inglese lo chiamano retirement). Ma è veramente un “ritirarsi”, un essere tagliati fuori dalla vita vera? O il principio di una nuova operosità? Perché non proviamo a vederli con “occhi nuovi”?
Dopo aver lavorato tutta la vita per i bisogni del corpo e per i doveri umani, molti anziani hanno scoperto che potevano finalmente dedicarsi con più agio e libertà a coltivare il loro spirito. Per tutti costoro si realizza la parola del salmo che dice: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (Salmo 92, 15).
La Scrittura traccia anche le linee per una spiritualità dell’anziano: “I vecchi sono sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell’amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti: non siano maldicenti, sappiano piuttosto insegnare il bene per formare le giovani all’amore del marito e  dei figli” (Tito 2, 24). Non è difficile desumere da questo insieme di raccomandazioni i tratti fondamentali che fanno il buon anziano.
Nell’anziano, uomo o donna, deve spiccare anzitutto una certa calma, dignità che fa di lui un elemento di equilibrio nella famiglia. Uno che, nei contrasti, sa relativizzare le cose, smorzare i toni, indurre alla riflessione e alla pazienza. Una delle situazioni più penose che oggi vivono gli anziani è assistere impotenti alla sfasciarsi del matrimonio dei loro figli, con tutto quello che ciò comporta, per i nipotini e per tutti. Anche in questa circostanza l’anziano deve essere uno che invita alla riconciliazione, trattiene dal prendere decisioni precipitose.
Un’altra virtù suggerita agli anziani è una certa apertura verso i giovani. Le indicazioni più preziose per una spiritualità dell’anziano ci vengono proprio dalle figure di anziani che abbiamo ricordato. Abramo e Sara ci dicono che la forza che deve sorreggere un anziano è la fede. Da Simeone e Anna, impariamo l’altra virtù fondamentale degli anziani: la speranza. Simeone ha sperato tutta la vita di vedere il Messia, e un giorno ha avuto la gioia di stringerlo tra le braccia Ogni anziano ha un desiderio segreto nel cuore. Bisogna, come Simeone, continuare a sperare e a pregare. Nei Salmi troviamo questa toccante preghiera di un anziano: “Non mi respingere nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze…Tu mi hai istruito fin dalla giovinezza e ora nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi” (Salmo 71, 9ss.).
Adelaide Rossi, ofs

Questo passo del vangelo mi ha suggerito altri quattro punti di riflessione:

1) Ogni creatura che appare sulla faccia della terra ha un destino misterioso: anche se inferiore a quello di Cristo, è pur sempre il destino di un suo “fratello” e di un figlio adottivo di Dio Ogni genitore come autentico educatore dovrebbe adottare come motto quello del Battista: “Bisogna che lui cresca e che io diminuisca”. Autorità è prima di tutto “far crescere” (augere).

2) Il ragazzo Gesù “cresce in sapienza e grazia”. Egli diventa così il modello della crescita di ogni ragazzo nella dimensione umana e spirituale.

3) Genitori e figli sono i poli della struttura familiare e sono il tessuto connettivo della storia di una famiglia. Un’analisi dei loro rapporti reciproci sulle basi delle annotazioni del Siracide e di Paolo (I e II lettura) può ricondurre nell’etica cristiana anche questo impegno umano fondamentale.

4) L’anziano è contemporaneamente dramma e speranza; e, infatti, realisticamente sfacelo fisico e indebolimento mentale ma è anche segno vivo d’amore, è profondità d’intuizione, è sapienza, è persino, come Simeone e Anna, profezia.

news fraternità



Tombolata di fine anno
domenica 28 dicembre

Dopo la festa di Gesù neonato nei nostri cuori, il Santo Natale, la Fraternità s’incontra per un momento di festa, recuperando la tradizione della tombolata di fine anno. E’ bello che i fratelli siano insieme!
Questo momento di fraternizzazione, fatta di piccoli gesti come giocare insieme, è una lode al Dio Padre che ringraziamo della sua provvidenza misericordiosa.

Appuntamento alle ore 16.00

VOCAZIONE FRANCESCANA REALIZZATA NEL MARTIRIO. testo di fr. Giacomo Bini


Hans Memling
S. Stefano
Pubblichiamo nel giorno di Santo Stefano, primo dei martiri, questo testo di fr. Giacomo Bini, già Ministro generale dell’Ordine dei frati minori che lo scorso maggio è tornato alla casa del Padre: «La vita continua» sono state le ultime parole di Fr. Giacomo, ricordate dal Ministro generale, Fr. M. Perry, nell’Omelia delle esequie.

Il testo è stato scritto in occasione della beatificazione di fr. Pascual Fortuño Almela, fr. Plácido García Gilabert, fr. Alfredo Pellicer Muñoz, fr. Salvador Mollar Ventura,appartenenti all’Ordine dei Frati Minori. Furono beatificati l’11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II con un gruppo composto complessivamente di ben 233 martiri della medesima persecuzione causata dalla Guerra civile spagnola.

Prima di ritornare al Padre e dopo aver invocato la discesa dello Spirito sui suoi discepoli, Gesù li invia al mondo intero perché siano suoi «testimoni - martyres - sino ai confini della terra» (At 1,8). Continuare la missione di Gesù fra gli uomini significa avviarsi per un cammino di martirio, cioè di testimonianza radicale, di dono di sé al Padre fino in fondo. Come Gesù, anche il discepolo si consegna totalmente alla volontà del Padre, testimoniando il suo amore fedele per gli uomini.
Essere discepolo del Signore risorto significa inserirsi immediatamente in una dinamica di kenosi, di morte e resurrezione; implica un lungo viaggio di “svuotamento”, di abbandono. Il cammino “verso Gerusalemme” è sin dall’inizio cammino verso la croce. Proprio questo amore, segnato dal dono di sé sino alla più totale spoliazione e annientamento, ha caratterizzato la vita di Francesco d’Assisi, facendone un imitatore fedele del “Martire per eccellenza”, il Signore Gesù.
Il Poverello è attratto e conquistato dall’amore di Dio, quell’amore povero, fragile, impotente, minacciato sin dalla nascita, che si consegna volontariamente alla morte per la riconciliazione e la pace. Sull’esempio di questa ostinata dedizione, anche Francesco rende la sua vita una testimonianza evangelica di fiducia e di dono incondizionato, un “martirio” pur senza spargimento di sangue.
Il Vangelo secondo Giovanni inizia con questo “esodo” di Gesù: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). E Francesco esprime “parabolicamente” la sua vocazione evangelica al seguito di Gesù con la pagina della “perfetta letizia”, che ripresenta esattamente il medesimo contenuto.
La vocazione francescana consiste in radice in questo “martirio”, in un pellegrinaggio di ritorno al Padre nella espropriazione sempre più radicale di se stessi, diventando dono e obbedienza al Padre perché il mondo abbia la vita, la pace e la riconciliazione.
Da Assisi il carisma francescano si lancia subito verso l’Europa, l’Africa, l’Asia, verso ogni uomo che attende la misericordia di Dio. Tale è stato l’impegno testimoniante della primitiva e itinerante fraternità francescana, fedele al mandato del Signore. Se «La missione è l’indicatore esatto della nostra fede in Cristo e del suo amore per noi» (Redemptoris Missio, 11), Francesco e i suoi primi compagni hanno colto profondamente questa relazione inscindibile tra fede e missione, incarnando e testimoniando l’urgenza del Regno nell’esperienza quotidiana; la fede e l’amore che condurranno alcuni fratelli allo spargimento del sangue sono espressione conclusiva di questa fedeltà. Ecco perché il poverello, udendo l’annuncio del martirio dei primi cinque frati nel 1220 in Marocco, esclamerà: «Ora posso dire di avere cinque veri frati minori!». A questi primi “veri” discepoli ne seguiranno altri, a Ceuta e a Valencia, contemporanei e compagni di Francesco.

La catena di questi testimoni, lo sappiamo bene, continua sino ai nostri giorni, e il 20° secolo è uno dei più segnati dal sangue di tanti martiri, cosicché anche noi, insieme a S. Agostino, possiamo esclamare: «Tutta la terra è bagnata dal sangue dei martiri; il cielo si illumina della loro corona; le chiesa sono adornate dalle loro tombe; le stagioni sono determinate dal loro ricordo; la salute del corpo e dell’anima è custodita dai loro meriti».
La stessa esperienza di fede e di amore sta anche alla base del martirio dei quattro francescani di Valencia beatificati oggi: fr. Pascual Fortuño Almela, fr. Plácido García Gilabert, fr. Alfredo Pellicer Muñoz, fr. Salvador Mollar Ventura, tutti uccisi tra l’agosto e l’ottobre 1936 *) , quasi a coronare una vita totalmente donata al Signore.
Oggi la Provvidenza ci offre l’occasione di partecipare alla solenne beatificazione di questi quattro nostri fratelli: sul loro esempio, anche noi ci sentiamo stimolati a percorrere sino in fondo il cammino della sequela di Gesù, per testimoniare anche oggi, a tanti fratelli e sorelle assetati di autenticità e di ideali per cui valga la pena di vivere, che l’esperienza della tenerezza paterna di Dio dà senso ad ogni esistenza e la conduce alla sua massima realizzazione.

PROFUMO DEL NATALE.

Il Natale è la nascita assoluta che riflette e assume, illumina e redime, benedice e consacra tutte le nascite di prima e tutte le nascite di poi. Ogni uomo che venga alla luce ripete il miracolo del Natale di Cristo; perché è Dio che decide quella nascita; è Lui che vuole quella vita. E’ proprio ciascuna di quelle nascite, ciascuna di quelle vite, nessuna preclusa, che lo ha spinto da sempre a incarnarsi.
                                                                                             GIOVANNI  TESTORI

All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna.
                                                                                                 Papa  FRANCESCO

Presepe del 2015 nella
basilica di S. Antonio al Laterano
realizzato da fr. Arturo con l'aiuto
di altri frati
Il profumo del Natale, come ogni anno, ci accompagna e ci fa rivivere momenti felici, spensierati, pieni di dolci ricordi. Ci si affolla per le strade, si cercano i regali più belli, si ricordano i Natali della nostra infanzia, ma.....
Queste due frasi mi hanno colpito in modo diretto e, come mia abitudine, le condivido con voi.
La prima è una citazione “teologica” desunta dal libro  La maestà della vita (1982) di G.Testori. E’ molto suggestiva la fusione che egli compie tra la “Nascita assoluta” ed emblematica di Cristo e tutte le altre nascite.
Gesù è nato, cioè ha voluto avere un inizio come tutte le sue creature, lui che era eterno, proprio per condividere con noi il tempo, la storia, la carne. E come tutti noi ha deciso di avere una fine, una morte. Ha compiuto questo per deporre in tutte le nascite e in tutte le morti, con la sua presenza, un seme divino. Dobbiamo amare allora la vita, da chi ora nasce fino a chi muore perché in essa si celebra un’epifania di Dio, una rivelazione del suo amore, una condivisione con la nostra realtà.
L’ingresso pieno di Dio nell’umanità non è per essere solo “Dio-con-noi”, l’Emmanuele, ma anche un Dio che è noi ed è in noi. Il principio di questo intreccio radicale e sostanziale tra  tempo ed eterno col Verbo che è anche carne mortale è senz’altro in Maria, Madre di Dio. Attraverso il suo “Sì”, noi siamo stati irradiati di infinito, in noi c’è un seme di eternità, la nostra umanità è fecondata dal divino ed è per questo che attendo con gioia “infantile” la meta della nostra redenzione.
La frase di papa Francesco invece mi ha accolto, quasi con semplicità, perché ho visto replicata la citazione “teologica” con un esempio molto vicino a qualsiasi essere umano. Il papa usa l’esempio dell’uomo che soffre perché chi soffre non ama pensare, ma vuole avere subito una risposta e, in questo caso, una risposta che gli dia la certezza che ciò che cerca è una presenza reale. Lodate il Signore! Pace in terra agli uomini di buona volontà!
                                                                                ofs Adelaide Rossi







UN AUGURIO SPECIALE AI TERZIARI CHE PER L’ETA’, LA SALUTE
E VARI MOTIVI
NON POSSONO PARTECIPARE
AGLI INCONTRI DI FRATERNITA'
 

....  abbiamo fatto gli auguri con l'immagine del biglietto inviatoci di Rosa missionaria medico in Tanzania ... auguri a te Rosa, ai pazienti in cura e quanti ti sono vicini. A tutti assicuriamo le nostre preghiere.