1ma DOMENICA DI QUARESIMA - Mc 1,12-15 Commento di Adelaide Rossi

Mc 1,12-15 (vedi Mt 4,12-17 – Lc 4,14-15)

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.  FF : 1582  2178
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». FF : 307


Anche Gesù prova la tentazione di Satana, ma non vi soccombe. Nel deserto rimane vittima della seduzione l’antico Israele, infedele a Dio.

Il racconto delle tentazioni nel Vangelo di Marco è quanto mai stringato: “Subito dopo lo Spirito lo spinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano”. Non dice nulla del contenuto e del tenore delle tentazioni. Per questo dobbiamo ricorrere a Matteo e Luca. Entrambi ci parlano di tre tentazioni: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane /… gettati giù /… tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”. Comune a tutti e tre i sinottici è la conclusione: superate le tentazioni, gli angeli – e secondo Marco, le fiere - lo servivano, come prima che Adamo ed Eva cedessero alla tentazione.
Qual è lo scopo delle tre tentazioni? Esso è unico e comune a tutte: distogliere Gesù dalla missione, distrarlo dallo scopo per cui è venuto in terra: sostituire al piano del Padre, un piano diverso. Nel battesimo il Padre aveva additato a Cristo, la via del Servo obbediente che salva con l’umiltà e la sofferenza; satana gli propone una via di gloria e di trionfo, la via che tutti allora si aspettavano dal Messia. Anche oggi tutto lo sforzo del demonio è di distogliere l’uomo dallo scopo per cui è al mondo: conoscere, amare e servire Dio in questa vita per goderlo poi nell’altra. Satana ci vorrebbe tutti spensierati e goderecci, simili al piccolo leone del film di Walt Disney “Il Re leone”. Il cucciolo si perde e finisce tra animali meno nobili di lui, dimentica che è destinato a regnare e canta Akuna matata (in lingua swahili “senza pensieri”).
Satana però è anche astuto; non compare di persona, ma riserve delle cose buone, portandole all’eccesso, assolutizzondole e facendone degli idoli. Il denaro è una cosa buona, come lo sono il piacere, il mangiare… Ma se essi diventano la cosa più importante della vita, il fine, non più dei mezzi, allora diventano distruttivi per l’anima e spesso anche per il corpo.
Un esempio particolarmente attinente al tema è il divertimento, il distrarsi. Il gioco è una dimensione nobile dell’essere umano. Dio stesso ha comandato il riposo. Il male è fare del gioco lo scopo della vita, vivere la settimana come attesa del sabato notte o della partita allo stadio della domenica, per non parlare di altri passatempo meno innocenti. In questo caso il divertimento non serve alla crescita umana e alleviare lo stress e la fatica, li accresce. Gli effetti negativi si fanno sentire sul proprio fisico o sulla famiglia, per non parlare poi dello spirito. L’inno liturgico della Quaresima ci esorta a usare più parcamente, in questo tempo, “parole, cibi, bevande, divertimento e sonno”.
Parlando di divertimento però non ignoro che per tanta gente esso è una parola sconosciuta e la vita è sola fatica e affanno. A loro vorrei ricordare che lo svago non si misura dal tempo e dai soldi spesi per esso, ma dalla gioia e dal sollievo che reca. Un canto francescano dice: “E le gioie semplici sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi”.

Altri spunti di riflessione:

1) Il movimento pasquale di Dio nei confronti dell’uomo si ha con il dono battesimale della grazia, La Quaresima è lo spazio pastorale ideale per una catechesi battesimale: dal sepolcro di pietra risorge il Cristo glorioso, dal sepolcro d’acqua rinasce l’uomo nuovo (Rom. 6).

2) Ma l’efficace ri-creazione operata dalla grazia non è magica né cade su un terreno neutro. Destinatario è l’uomo libero che deve intrecciare un dialogo con il suo Dio. Alla parola battesimale di Dio l’uomo deve rispondere con la parola viva della sua conversione: “Convertitevi e credete al vangelo!”, esclama Gesù in Mc 1, 15. La metànoia ci permette di liberare la nostra tensione verso Dio, è l’esplosione gioiosa del nostro desiderio di Dio, della nostalgia e dell’abbandono in lui, è trasformazione della vita e del cuore. Ma questa conversione a Dio per essere autentica esige anche la conversione al prossimo. Conversione significa un radicale mutamento di se stessi per acquistare la dimensione della vita di Cristo.

3) Alla conversione e alla salvezza si oppone spesso la tentazione che è simile a una galleria oscura. Israele nel deserto non riesce ad uscire da questa galleria e muore senza raggiungere la terra. Cristo, nuovo Israele, ne esce invece come Messia salvatore. La tentazione è il segno della nostra umanità, vissuta anche dal Cristo, è il campo costante nel quale siamo collocati e dal quale può nascere il nostro sì limpido e totale a Dio ma dal quale può salire anche la miseria del nostro rifiuto. (Adelaide Rossi, ofs)

CAMMINO DI QUARESIMA NELLA BASILICA DI S. ANTONIO AL LATERANO / il programma:





I terziari professi e gli iniziandi sono invitati a vivere il cammino quaresimale
insieme alla comunità dei frati.

Ogni venerdì: 
ore 17,00 – Via Crucis

ore 20,45
Catechesi:

20 febbraio
La conversione di Francesco
(P. Pietro Messa)
27 febbraio
La Gloria nel Crocifisso di S. Famiano
(P.A. Mastromatteo)
6 marzo
L’umiltà dell’Incrnazione e la carità della Passione
(P. Vincenzo Battaglia)
13 marzo
La Pasqua di Francesco
(P. Pietro Messa)
2° marzo
 S. Francesco e la Vergine Maria
(P. Stefano Cecchin)
27 marzo
Francesco uomo di riconciliazione
(P. Maurizio Faggioni)

Ogni domenica:
ore 17,00 – Adorazione

Confessioni:
Tutti i giorni dalle ore 7,30 alle ore 12,00
e dalle ore 16 alle ore 18

Messe al consueto orario

FRATERNITA' : ISOLA DI MISERICORDIA - Piccola riflessione a margine del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2015.

Ancora un’altra quaresima, penserà qualcuno. Preghiera, elemosina, digiuno. I tempi sono cambiati e l’insofferenza verso i cosiddetti “ tempi forti “ della Chiesa coinvolge persino i suoi figli più devoti. Ancora un’altra quaresima che il mondo non capisce e relega a mero fenomeno di un  folclore religioso in via di auspicabile estinzione. Altri come il sottoscritto contano le quaresime vissute e si accorgono con sgomento di aver sprecato per ignavia preziosissimi momenti di grazia. Lo comprese bene frate Francesco, quando cominciò finalmente ad intendere le cose di Dio, e non si accontentava di farne una l’anno , ma tre, quattro e anche di più e sempre sembrava non gli bastassero  mai.
 Ci ricorda il Papa, di nuovo,  nel suo consueto  messaggio per la quaresima del  2015 che non è Dio a stancarsi di usare con noi misericordia, ma siamo noi che inspiegabilmente ci stanchiamo di essere amati da Lui. E mentre Dio Padre ha un cuore che batte per noi, noi invece stiamo bene, stiamo comodi, mangiamo e beviamo anche più del necessario, e così pieni di noi stessi non ci importa degli altri che sono nel bisogno. Abbiamo globalizzato anche l’egoismo e l’indifferenza verso Lui  e verso il prossimo.
 
 Per questo sempre abbiamo bisogno di rinnovamento, di qualcuno che ci ricordi che non possiamo continuare a vivere come se Dio non ci amasse e questo qualcuno, questa voce profetica è la voce della Chiesa che in mezzo a persecuzioni ed ostilità, continua a tenere aperta la porta della misericordia divina attraverso cui il Signore Gesù può proseguire, e passare per guarire le nostre ferite e alleviare le nostre sofferenze.
Viviamo chiusi in noi stessi, indifferenti rispetto al nostro dolore ed a quello del mondo. Solo l’amore di Dio ha spaccato la pietra che sigillava il sepolcro di Cristo. Egli continua, se glielo consentiamo, ad infrangere l’abbraccio mortale dei nostri sepolcri, quelli freddi e rigidi che non vedono e non sentono il grido dei poveri e degli umiliati della terra. “ Se un membro soffre, tutte le membra soffrono “. Spesso, come Pietro, ci opponiamo al Signore e non capiamo che a servire gli altri, riescono solo coloro che accettano di lasciarsi servire da Cristo. In quaresima non siamo chiamati a fare qualche fioretto, ma a farci servire da Cristo!  Non ha bisogno il Signore di essere servito dagli uomini, ma di servire noi, e noi di lasciarci trasformare dal suo esempio. “Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo.” In questa “ comunione di santi “ niente si possiede soltanto per sé, ma tutto è per tutti!
Un discorso questo che dalla chiesa universale va tradotto in concreto nella vita delle singole comunità. Perché paradossalmente è facile concepire grandi imprese umanitarie ed essere così miopi da  non accorgersi  poi del dolore del fratello che ci siede accanto, bisognoso di cure. Cosa possiamo fare ad esempio nelle nostre fraternità per vincere l’indifferenza ed aprire il cuore alle altrui necessità ? Il papa ci indica due vie : una che sale verso l’alto, la preghiera , quella in particolare che in cielo arriva al cospetto di Dio e coinvolge pure  la chiesa trionfante, i santi che hanno vinto la loro battaglia sulla terra e che ora in cielo possono intercedere per noi; il papa ricorda specialmente l’iniziativa 24 ore per il Signore, che si celebrerà  in tutta la Chiesa, anche a livello diocesano, nei giorni 13 e 14 marzo : un’altra  via è la missione, che si dispiega su questa terra e deve raggiungere ogni uomo , ogni creatura per la quale Cristo si è incarnato, è morto e risorto.
Altro gesto importante che ci fa vincere l’indifferenza è la carità. La quaresima da sempre è tempo propizio perché questa maturi e si sviluppi, perché la consapevolezza dei nostri limiti infranga l’illusione diabolica che ci fa credere di poter salvare noi stessi ed il mondo da soli.
“ Rendi il nostro Cuore simile al Tuo “ – conclude il Papa il suo messaggio con   una supplica tratta dalle Litanie al Sacro cuore di Gesù ,  e noi possiamo aggiungere : fa o Signore che anche noi lottiamo nella nostra trincea : trasforma la nostra comunità spesso rovinata da egoismi, particolarismi ed indifferenza ai bisogni del prossimo, in una  fraternità autenticamente amorevole, cellula viva della Chiesa universale, luogo di guarigione e di salvezza per tutti i feriti dalla vita, amorevole isola di misericordia.
                                                                                                                          

PROFESSIONE NELL'OFS: IL DONO DELLO SPIRITO SANTO di Rosalvo Moto, ofs

Spirito Santo - opera di Jacopo Zucchi
Chiesa dello Spirito Santo in Sassia - Roma
La Professione dei Fratelli e delle Sorelle chiamati alla vita francescana nella fraternità secolare avviene nel corso di una celebrazione che segue in modo specifico il Rituale proprio dell’OFS.

Questa celebrazione rappresenta il momento iniziale della vita professata ed è contemporaneamente occasione di dialogo per una risposta all’opera di Dio.

La celebrazione della Professione ne è testimonianza in quanto opera di Dio ed evento salvifico: * è un momento in cui la Salvezza viene in aiuto a coloro che fanno la Professione, rendendoli in grado di promettere di condurre una vita secondo gli insegnamenti dei Vangeli e il modello francescano e producendo in loro particolari effetti di grazia. Questo conferisce loro delle caratteristiche specifiche che li contraddistinguono tra le persone di Dio.


Professione nell’OFS:
il dono dello Spirito Santo

La Grazia della Professione
Quando si fa la professione nell’OFS si dice “Poiché il Signore mi ha dato questa grazia, rinnovo le mie promesse battesimali e mi consacro al servizio del suo Regno.” (Rituale di Professione).

Questa dedica al servizio nel Regno può avvenire perché il Signore concede la grazia di consacrarsi alla causa del Regno.

La professione è sia una grazia sia un dono dello Spirito:” Lo Spirito Santo è la sorgente della vocazione dei Francescani Secolari”. (Cost. 11). “Spinti dallo Spirito si impegnano a raggiungere la perfezione della carità nel proprio stato secolare”. (Regola 2).

La Professione è un Atto della Chiesa
La Professione avviene attraverso l’opera di Dio. Questo succede perché Dio lavora attraverso Cristo, la cui umanità è un punto di incontro tra Dio e gli uomini, e oggi Cristo vive e lavora attraverso la Chiesa, che costituisce l’intero Corpo di Cristo, testa e membra.

Vale la pena rilevare il linguaggio utilizzato nelle Costituzioni, che definiscono la Professione come l’atto ecclesiale solenne (42.1), e nel Rituale, che dichiara che la Professione è un atto pubblico ed ecclesiale.

Professione e Fraternità

Abbiamo visto che la Professione è, per sua stessa natura, un’azione ecclesiale, un’azione di Cristo e della Chiesa. Ci si chiede quindi: “Come si rende visibile e come mostra l’opera di Cristo e della Chiesa?”

Con il termine “Chiesa” il Rituale intende un gruppo concreto, liturgico, formato dalla comunità e dalla fraternità, cioè la fraternità locale dell’Ordine Francescano Secolare.

Giacché, per sua stessa natura, la professione è un atto pubblico ed ecclesiale, dovrebbe essere celebrata alla presenza della fraternità. Questa scelta è da ricondurre alla realtà della fraternità locale: “È un segno visibile della Chiesa, comunità di amore”. (Regola 22, Rituale 2.14)

La Professione produce “l’inclusione nell’Ordine Francescano Secolare”, implicando così la piena integrazione nella famiglia francescana e tutto ciò che deriva dall’appartenere alla medesima famiglia spirituale.

I Ministeri nella celebrazione della Professione
L’opera della Fraternità-Chiesa celebrante si realizza attraverso diversi ministeri esercitati da persone che, all’interno dell’assemblea liturgica, sono chiamati a svolgere specifiche funzioni.

I Candidati
L’opera di Cristo e della Chiesa si esprime nelle persone dei candidati che cercano la Professione, in quanto promettono di condurre una vita evangelica. Chiedono di ricevere la Professione.

In effetti, sia il Battesimo sia la Confermazione sono presupposto essenziale per ricevere la Professione: si è chiamati a dare testimonianza del Regno di Dio, a costruire un mondo più misericordioso assieme alle persone di buona volontà e a coltivare lo spirito diservizio che è proprio dei Francescani Secolari (Rituale 1.14).

Il Ministero della Fraternità
La Professione è ricevuta dal Ministro della Fraternità locale (Cost. 42.3). La Chiesa, attraverso il sacerdote e il Ministro, che rappresentano entrambi la fraternità, riceve la professione (Rituale).

Il Ministro riceve la Professione e il sacerdote presiede il rito. Il Ministro della fraternità esercita un ministero liturgico vero e proprio.

Il sacerdote
Analogamente, il sacerdote che presiede la celebrazione è definito testimone della Chiesa e dell’Ordine. (Rituale).

Le nostre azioni liturgiche e sacramentali rendono visibile la realtà della Madre Chiesa, che è preoccupata per il destino dei suoi figli. Da questo derivano e trovano una giustificazione le domande che sono fatte a genitori e padrini al momento del Battesimo e a coloro che ricevono il sacramento della Confermazione, dell’Ordine e del Matrimonio.

In effetti, ciò che ne deriva e trova una giustificazione sono anche le domande fatte a coloro che cercano la Professione nell’Ordine Francescano Secolare.

La Professione nell’OFS deve essere confermata dalla Chiesa e questo è realizzato dal presbitero e da chiunque dichiari, dopo che i candidati hanno letto la formula della professione: Confermo la vostra promessa nel nome della Chiesa (Rituale 11.18).

Ne consegue che il sacerdote è il testimone che garantisce l’idoneità del candidato alla professione e la ratifica in nome della Chiesa.

Il dono dello Spirito nella celebrazione di una Professione
La funzione del sacerdote non è solo questa ma è, soprattutto, quella di benedire (atto che è propriamente una funzione liturgica) coloro che sono chiamati a seguire Cristo tramite l’esempio di Francesco d’ Assisi.

La Santificazione è opera del Padre, che si realizza con la mediazione del Ministro nel momento in cui dichiara: “La Fraternità accetta la vostra richiesta e si unisce a voi nella preghiera che lo Spirito Santo possa confermarvi nell’opera che Egli stesso ha iniziato”. Tutto ciò è dono dello Spirito.

Professione ed Eucarestia

Attraverso il sacerdote, la Chiesa associa le promesse della Professione al sacrificio dell’Eucarestia. Per questo motivo il rito della Professione è celebrato nel corso della messa.

Attraverso il ringraziamento al Padre (Eucarestia) in Cristo, oggi compiamo un nuovo ringraziamento. Chiamati a seguire Cristo, che si offre al Padre come sacrificio vivente per la vita del mondo, siamo costantemente invitati – nel modo più adatto alla nostra età – a unire l’offerta di Cristo alle nostre offerte.

Battesimo e Professione
Come affermato dalle Costituzioni Generali (42.1), la Professione è l’atto ecclesiale solenne con il quale il candidato, memore della chiamata ricevuta da Cristo, rinnova le promesse battesimali e afferma pubblicamente il proprio impegno a vivere il Vangelo nel mondo secondo l’esempio di Francesco e seguendo la Regola dell’OFS.

Memoriale del Battesimo
Viene di fatto affermato che la Professione, per sua stessa natura, è il rinnovamento della consacrazione e delle promesse battesimali e che, nel fare ciò, il candidato dichiara l’intenzione di rinnovare le promesse battesimali.

È come se si volesse affermare, per mezzo della Professione, il desiderio di richiamare alla mente la consacrazione e le promesse del Battesimo. Per questo motivo, la Professione nell’OFS è definita con certezza assoluta un “Memoriale del Battesimo”. Non si tratta tuttavia di una semplice memoria del Battesimo: è piuttosto l’atto del renderlo presente. Si può perfino dire che sia un’attualizzazione del Battesimo.
Rosalvo Moto, ofs

ANNO B / VI domenica T.O. - Marco, 1,40-45 - Commento di Adelaide Rossi

Mc 1,40-45  
FF :  Mt 8,14- Mt 16; 8,2-4 - Lc 4,38-41 – Lc 5,12-16

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.


Gesù guarisce un lebbroso: allora è segno che incomincia con lui il regno di Dio, il tempo messianico, in cui l’uomo è guarito nel corpo certamente, ma in vista di un rinnovamento totale.

Sul fenomeno della lebbra le letture di questa domenica ci permettono di conoscere l’atteggiamento prima della legge mosaica e poi del Vangelo di Cristo. Nella prima lettura, tratta dal Levitico, si dice che la persona sospettata di lebbra deve essere condotta dal sacerdote il quale, accertata la cosa, “dichiarerà quell’uomo immondo”. Così il povero lebbroso, scacciato dalla comunità, deve lui stesso tenere lontano le persone avvertendole del pericolo. L’unica preoccupazione della società è proteggere se stessa.
Nel Vangelo Gesù incontra un lebbroso, il quale gli chiede di guarirlo e Gesù gli tende la mano, lo tocca e pronuncia: “Lo voglio, guarisci”. E’ una frase semplice, come semplice è la richiesta del lebbroso: “Se vuoi, puoi”, che così manifesta la sua fede nella potenza di Cristo. E Gesù dimostra di poter fare, facendolo.
Una domanda dovremmo porci tutti: io a quale dei due atteggiamenti mi ispiro? Contribuire ad alleviare le sofferenze altrui, specie se fatto dovendo vincere se stessi, segna l’inizio di una vera conversione. Il caso più celebre è quello di Francesco d’Assisi che fa risalire all’incontro con un lebbroso l’inizio della sua nuova vita. (Adelaide Rossi)

Altri spunti di riflessione:

1)  Il dolore è un insieme complesso e drammatico della sofferenza umana e del male causato dalla natura, dalle persone, dalle strutture in cui si rischia la fede o si compie l’apostasia. E’ l’esistenza e bisogna viverla con estremo impegno come una prova decisiva.

2) Cristo è sistematicamente presente in questa fase dell’esistenza umana. La sua presenza è lotta contro il male e il limite, naturale o imposto dagli uomini. Il cristiano deve rendersi presente ovunque c’è dolore, deve agire dove c’è male o imperfezione.

3) La lotta al male e alle ingiustizie non è sufficiente se non conosce l’aspetto positivo dell’amore, della misericordia, della fiducia e della ricostruzione.

FESTA DELLA BEATA MARIA VERGINE DI LOURDES

In occasione della commemorazione della beata Maria Vergine di Lourdes, che la Chiesa celebra l’11 febbraio, riteniamo opportuno accennare alle apparizioni della Madonna a Bernardette Loubirous nella grotta di Massabielle dall’11 febbraio al 16 luglio 1858.
Delle diciotto apparizioni ci piace ricordare in rapida sintesi quelle più significative, cioè quelle in cui la Vergine esprime dei pensieri con le parole. Nella terza apparizione del 18 febbraio, in risposta alla richiesta di Bernardette: “Volete avere la bontà di ripetere per iscritto il vostro nome?”, la bella Signora risponde: ”Non è necessario” e aggiunge queste parole: “Non vi prometto di farvi felici in questo mondo, ma nell’altro”. Dopo il sì della veggente alla domanda: “Volete avere la gentilezza di venire qui durante quindici giorni?”, la visione scomparve.
Nel corso dell’ottava apparizione (24 febbraio) Aquero – parola dialettale che significa “quella lì” – disse alla veggente: “Penitenza! Penitenza! Penitenza!”“Pregherete Dio per i peccatori. Andate a baciare la terra in penitenza per la conversione dei peccatori”.
Nella nona apparizione (25 febbraio), la bella Signora ebbe a dire a Bernardette: “Andate a bere alla fontana e a lavarvi. Mangerete di quell’erba che c’è là”.
Nella tredicesima apparizione (2 marzo) Aquero le dice: “Andate a dire ai preti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella”. Queste stesse parole sono ripetute nella quattordicesima apparizione del 3 marzo.
In date incerte, la bella Signora le dice: “Vi proibisco di dirlo a chiunque”. Queste parole ripetute più volte riguardano la preghiera segreta e i tre segreti confidati da Aquero alla veggente. Tali segreti non sono stati svelati da Bernardette in quanto riguardano la vita privata di lei.
Nella sedicesima apparizione la bella Signora le dice il suo nome: “Que say era Immacolada Conception” (tr. Io sono l’Immacolata Concezione).
Dopo dodici giorni dall’ultima apparizione del 16 luglio 1858, mons. Laurence, vescovo di Lourdes e Tarbes istituisce una commissione canonica che lavorò per circa quattro anni in ricerca e interrogazioni. Lo stesso vescovo in una lettera pastorale del 18 gennaio 1862 riconosce la natura sovrannaturale delle apparizioni, suffragata dalle testimonianze delle guarigioni che sono sempre state numerose a Lourdes, anche se ufficialmente delle settemila dichiarazioni di guarigione la Chiesa ne ha riconosciute 66, dichiarandole “guarigioni inspiegabili o miracoli”.
Il noto giornalista Andrea Tornielli in un’intervista a Renè Laurentin, uno dei maggiori mariologi del nostro tempo, gli pone questa domanda: “Quale è oggi l’autentico messaggio di Lourdes?”.
L’illustre studioso rispose tra l’altro: “Non dimentichiamo che la Vergine Maria apparve a Bernardette la ragazza più povera della famiglia più povera di Lourdes. Una ragazza dalla salute malferma che diventa la sua plenipotenziaria per fondare Lourdes (…) Pertanto le parole chiave del messaggio non sono soltanto quelle esplicitamente dette dalla Madonna, vale a dire preghiera, penitenza e conversione e Immacolata Concezione. C’è anche da tener presente la parola “povertà”.
E aggiunge: “Credo che il messaggio profetico di Lourdes, proposto nella persona di Bernardette, sia quello della beatitudine dei poveri, la loro esistenza, il loro valore. Ai poveri è annunciata la buona novella del Vangelo”.

Elvio Pettinella, ofs

foto: cappella della Madonna di Lourdes nella chiesa dei SS. PIETRO E MARCELLINO in via Merulana, Roma.


ANNO B / V domenica T.O. - Marco, 1,29-39 - Commento di Adelaide Rossi



Mc 1,29-39 
FF vedi Mt 8,14- Mt 16; 8,2-4 - Lc 4,38-41 – Lc 5,12-16

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. FF 838
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
                      

Gesù compie miracoli, scaccia i demoni, annunzia il vangelo, prega. Tutto questo vuol dire che in lui è apparso il Regno di Dio, è donata la grazia, irrompe il nuovo mondo, redento dal peccato.

Il Vangelo di oggi ci offre il resoconto fedele di una giornata-tipo di Gesù di Nazareth. Uscito dalla sinagoga, Gesù si recò dapprima nella casa di Pietro, dove guarì la suocera che era a letto con la febbre; venuta la sera, gli portarono tutti i malati ed egli ne guarì molti; il mattino si alzò quando era ancora buio e si ritirò in un luogo solitario a pregare; quindi partì per andare a predicare il regno in altri villaggi.
Da questo resoconto deduciamo che la giornata di Gesù consisteva in un intreccio tra malati, preghiera e predicazione. 

Dedichiamo la nostra riflessione all’amore di Gesù per la cura dei malati, anche perché in questi giorni, nella memoria della Madonna di Lourdes dell’11 febbraio, si celebra la Giornata mondiale dell’ammalato.
Le trasformazioni sociali e la scienza medica hanno molto cambiato la figura dell’ammalato dandogli una speranza di guarigione. Ma la malattia, come la morte, non è ancora, e non sarà mai, del tutto debellata. La fede cristiana può alleviare questa condizione e dare anche ad essa un senso e un valore.
Prima di Cristo la malattia era considerata come strettamente connessa al peccato. Con Gesù qualcosa è cambiato. Egli “ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt. 8,17). Sulla croce ha dato un senso nuovo al dolore umano, compresa la malattia: non più di punizione, ma di redenzione. La malattia unisce a lui, santifica, affina l’anima, prepara il giorno in cui Dio asciugherà ogni lacrima e non ci saranno più né malattia né pianto né dolore (Apocalisse, 21,4).
Il malato, però, ha bisogno certamente di cura, di competenza medica, ma soprattutto di speranza. La speranza è la migliore “tenda d’ossigeno” per un malato. Non bisogna lasciare l’ammalato nella sua solitudine. Una delle opere di misericordia è visitare i malati.
Quasi tutti i malati del Vangelo sono guariti perché qualcuno li ha presentati a Gesù e l'ha pregato per essi. La preghiera più semplice, che tutti possiamo fare nostra, è quella che le sorelle Marta e Maria rivolsero a Gesù, in occasione della malattia del loro fratello Lazzaro: “Signore, colui che tu ami è malato!”. (Adelaide Rossi, ofs)

Altri spunti di riflessione:

1) La totalità è alla radice della fede. Il problema della sofferenza da sempre tormenta l’uomo di ogni tempo e di ogni cultura. L’esperienza “universale” del dolore incarnata in Giacobbe costituisce un primo spunto di riflessione. La realtà umana universale è coinvolta. E’ stato spezzato il muro di separazione che distingueva i pagani e gli ebrei nel Tempio; il muro è stato irrimediabilmente spazzato via dal Cristo.

2) La totalità è anche lo scopo della fede: il “gratuitamente" di cui parla Paolo, il guarire di continuo di Gesù con il rifiuto di ogni acclamazione popolare, la generosità dei propri atti testimonia la totalità della donazione che la fede genera nel credente.

3) La totalità è anche la qualità del cammino della fede. Contro le visioni consolatorie della religione, contro la sua riduzione a schema teologico (la folla che acclama Gesù o gli amici di Giacobbe) si leva il mistero della fede pura, che non è semplicemente capire un teorema teologico, ma innanzitutto aderire ad una persona nella sequela della vita e dell’amore.