Camminando sulle orme del Vangelo ... Anno A - 4ta QUARESIMA nel commento di Adelaide Rossi

Si possono chiudere gli occhi dinanzi alla luce; e allora è come se si fosse ciechi. Così i Giudei chiudevano gli occhi dinanzi a Cristo, la luce del mondo, e quindi non ne scorgevano il mistero.



La guarigione del cieco nato ci riguarda da vicino, perché, in un certo senso, siamo tutti dei … ciechi nati !
Ogni bambino nasce se non proprio cieco, almeno incapace di distinguere i contorni delle cose. Il vedere è un miracolo, Solo che non ci facciamo caso, perché ci siamo abituati e lo diamo per scontato. Ecco che Dio, a volte, opera lo stesso in modo straordinario, così da scuoterci dal nostro torpore e renderci attenti. Ma è solo per questo che Gesù guarisce il cieco nato? C’è un altro senso in cui noi siamo nati ciechi? C’è un altro occhio che deve ancora aprirsi nel mondo, oltre quello materiale: l’occhio della fede!
Esso permette di scorgere un altro mondo al di là di quello che vediamo con gli occhi del corpo: il mondo di Dio, del Vangelo, della vita eterna. Gesù invia il giovane cieco alla piscina di Siloe. Con questo voleva significare che l’occhio della fede comincia ad aprirsi nel battesimo, quando riceviamo appunto il dono della fede. Per questo nell’antichità il battesimo si chiamava anche “illuminazione” ed essere battezzati si diceva “essere illuminati”.
L’episodio serve all’evangelista per dimostrare come si arriva a una fede piena e matura nel Figlio di Dio. Il recupero della vista da parte del cieco procede a pari passo con la scoperta di chi è Gesù.
All’inizio per il cieco Gesù è solo quell’uomo che ha fatto del fango; poi “è un profeta”, ossia ha capito che è inviato da Dio. Infine, incontrandolo gli grida: “Io credo, Signore!” e si prostra dinanzi a lui per adorarlo, riconoscendolo come suo Signore e suo Dio. L’evangelista Giovanni descrivendoci così dettagliatamente tutto ciò, è come se ci invitasse a domandare cos’è Gesù per noi. Nessuno nega che sia un uomo ed un profeta; anche un musulmano lo riconosce come tale. Il salto mediante il quale si diventa cristiani in senso proprio, è quando si proclama Gesù, “Signore”, e lo si adora come Dio. “Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me” (Gv. 14,1). Per i cristiani credere è credere in Gesù Cristo.
Adelaide Rossi, ofs

GUSTAVE DORE' SU "SQUILLA FRANCESCANA" / indice con un articolo di Maurizio Cecchetti

Incisioni pubblicate:

Vangelo di Giovanni:

Gesù e la samaritana - IV, 6

Vangelo di Matteo

Predicazione di S. Giovanni Battista - III, 1
Gesù tentato dal demonio - IV, 8
La Trasfigurazione - XVII, 1

Vangelo di Luca

Il fariseo e il pubblicano - XVIII, 10
Gesù presso Marta e Maria, X, 38

Divina Commedia

Visione - Terza cantica: il Paradiso

Doré in lotta con l’immagine
Ricordo quarant’anni fa mio padre che acquistava settimanalmente in edicola la dispensa della Divina commedia in grande formato con le illustrazioni di Gustave Doré. Toccò poi anche alla Bibbia, così che nella nostra piccola libreria quei volumoni con le immagini dell’incisore francese stavano in bellavista accanto all’enciclopedia Le Muse (una miniera di informazioni e immagini dove m’infarinai sulle diverse arti), all’Imago Mundi, l’enciclopedia edita dall’Istituto di ricerche geografiche in 4 volumi, e all’Enciclopedia Europea della Garzanti in 12 volumi. La Treccani non era alla portata delle tasche di mio padre, ma le altre sopperivano bene a quella mancanza.

Il lettore mi perdonerà questa memoria ormai abbastanza lontana, perché in realtà essa dice qualcosa di più di un ricordo personale, fotografa un Paese dove la famiglia media italiana, che sbarcava il lunario con lo stipendio da operaio o da impiegato dei padri, ma anche talvolta delle madri, era un luogo dove la vendita a dispense di grandi opere o enciclopedie segnalava l’orgoglio di acculturarsi, di avere in casa quel sapere fondamentale che era stato appannaggio solo dei ceti più abbienti e oggi, magari, ci arriva attraverso lo schermo di un computer con molta più facilità (ma anche con molta meno soddisfazione per quanto di virtuale c’è in ogni cosa che passa da quella finestra). Ricordo che guardavo le incisioni di Doré e mi chiedevo, poco più che bambino, come aveva fatto a disegnare con quella meticolosità; mi sembravano fotografie più che prodotti della mano umana che impugna la matita o il bulino.

Ciò che a me colpiva sia per la bravura tecnica, sia per la forza immaginativa, per Doré fu una specie di maledizione. Un destino contro cui lottò nell’unica maniera che conosceva bene: sfidare il mondo dell’arte a riconoscergli quella caratura di pittore, e poi anche di scultore, che tuttavia fu sempre avvolta e sopraffatta dall’aura dell’illustratore sopraffino che era.

In un autoritratto a penna del 1895, quando era ormai sessantatreenne, appare coronato dal lauro con un profilo che ricorda lontanamente l’Alighieri, s’intitola: G. Doré nel 1895. Tante illustrazioni ma poca gloria: lo stato d’animo doveva essere quello di un uomo che, avendo vissuto buona parte della propria vita, celebrato per le sue doti di illustratore, invidiava ad altri quella fama che appartiene agli artisti che segnano le vette delle arti maggiori. Ma, in effetti, come Daumier, che ancora oggi viene ricordato anzitutto per le sue caricature, disegnate e scultoree, anche Doré abbracciò, dopo i primi passi nella grafica, le arti sorelle.

Lo ricorda nell’introduzione al catalogo della mostra che si può vedere al Museo d’Orsay di Parigi, Philippe Kaenel, che questa rassegna ha concepito e ordinato. È fuor di dubbio che Doré avesse delle doti pittoriche, le cose forse più riuscite sono i suoi dipinti a gouache e acquerello, suggestivo quello intitolato E quindi uscimmo a riveder le stelle del 1861; e del resto la sostanza più prossima allo sguardo di Doré sembra essere proprio quella del mondo dantesco, come si capisce in un quadro a olio straordinario e terribile come Dante e Virgilio nel nono cerchio dell’Inferno dello stesso anno.

Alla retorica del simbolo, della rappresentazione letteraria, di una grandeur sempre rispettosa delle convenzioni sociali e culturali è volta anche la sua scultura, che denota capacità tecnica ma poca ispirazione. Il sunto sta nell’idea di artista totale che Doré ambiva a essere, ma la sua arte versatile difficilmente esce per così dire di pagina, non si abbandona mai all’errore e allo scarto improvviso. Ne deriva un mondo che, fuori dall’illustrazione, impressiona ma non sorprende.

Doré amava la fama, aveva ambizione ed era piuttosto narcisista, come s’intuisce in alcune foto che lo ritraggono; al pari di molte persone che cercano questo surrogato della vita con spasmodica bramosia, era prigioniero di una specie di ciclotimia: egocentrico esuberante, cadeva periodicamente in stati melanconici. La sua immaginazione – proprio le scene dell’Inferno Dantesco o certi episodi dell’Antico Testamento, vedi la morte di Sansone, ne testimoniano – era certamente prodigiosa; si avverte una forza pari a quella con cui Rodin porta alla luce dall’ombra le sue figure (sappiamo quanto Rodin debba a Michelangelo, e anche Doré se ne ricorda quando opta per una illustratività monumentale).

Si capisce, in certi disegni, che aveva in mente William Blake, certe spirali di corpi nelle scene della Commedia lo dicono con chiarezza, ma poi è come se quella stessa immaginazione seguisse spartiti meno visionari e più letterari, gabbie narrtive che frenano, al momento buono, il gesto icastico e trasgressivo. Insomma, Doré è forse più fantastico che immaginativo, non ha la “follia” dell’inglese, un fuoco che può anche metterti a rischio se vai fino in fondo. Come suo contraltare, in pittura, trova certamente Manet, scrive Kaenel. Tanto Manet semplifica, opera con una sprezzatura tecnica che gli consente sintesi estreme dove il colore quasi elude il disegno; così Doré si tiene stretto al “groviglio” grafico che tesse come un bozzolo, anzi in barocche acconciature formali. C’è sempre un autocontrollo, una consapevolezza del limite da non superare, del tabù solo sfiorato anche quando l’immagine è apocalittica.

Il talento di Doré soprende quando si dedica alla caricatura: qui si libera di una certa “nerezza” di sguardo e si concede all’ironia, alla satira, alla critica sociale. Si veda quella singolare immagine dedicata a Ivan il Terribile del 1854 (quando ha soltanto 22 anni e la briglia ancora sciolta), nell’Histoire pittoresque, dramatique et caricaturale de la Sainte Russie: una grande nuvola rosso-sangue sfrangiata occupa quasi per intero il foglio, nessun altro segno sulla carta.

Così, anche sul proprio Paese, non manca la caricatura del «popolo più rivoluzionario d’Europa» che un po’ anticipa, nella varietà ironica dei tipi umani, quella definizione che Céline darà un secolo dopo dei francesi «grande accozzaglia di poveracci del mio stampo, cisposi, pulciosi, cagoni, assediati da fame, peste, tumori e freddo, arrivati già vinti dai quattro angoli della terra», ma con un cinismo più ironico, aristocratico tirarsi fuori dalla mischia, ciò che allo scrittore del Voyage , invischiato dai catrami della Grande guerra e delle sue derive nichiliste, non poteva certo passare per la testa.

Lo sguardo di Doré è finalizzato all’immagine non al modello da cui parte, come accade, invece, nei disegni di Géricault che ritraggono la bassa umanità dei sobborghi londinesi: la Londra di Doré non sarà mai quella dickensiana, acida, melmosa, che ti fa respirare i sentori dei bassifondi. Ma è proprio in questa “distanza” dalla vita che egli ha perduto il bandolo che lo legava all’arte più grande.

Maurizio Cecchetti
Articolo pubblicato dal quotidiano L'Avvenire, il 22 marzo 2014
Source: clicca 

NOSTRE PUBBLICAZIONI - Via Crucis con S. Battista Camilla Battista Varano, con le illustrazioni del terziario francescano Mario Barberis (1893-1960).

Via Crucis
con Santa
Camilla Battista da Varano


via crucis con testi tratti dagli scritti
di S. Cammilla Battista da Varano delle
Clarisse di Camerino

disegni del terziario francescano
Mario Barberis 1893-1960

a cura di m. stocchi ofs


può essere richiesta scrivendo a
FRATERNUTA' OFS S. ANTONIO

via Merulana 124 - 00185 - Roma

offerta libera

Camminando sulle orme del Vangelo ... Anno A - 3za QUARESIMA nel commento di Adelaide Rossi

3^ dom. di Quaresima  (Gv. 4, 5-42)

Via via che la donna samaritana lascia la sua diffidenza, le appare il mistero di Gesù. Non è uno qualsiasi, e per di più uno straniero e nemico, che chiede da bere; ma lui stesso si rivela il Pozzo di acqua viva, che è lo Spirito.

Gesù e la samaritana, incisione di Gustave Dorè
Gesù nel Vangelo di questa domenica ci fa una proposta radicale: cercare un’altra “acqua”; dare un senso e un orizzonte nuovo alla nostra vita. “L’acqua che io darò diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna”. Eternità è una parola che l’uomo moderno rifiuta, perché crede che possa distoglierlo dall’impegno storico concreto per cambiare il mondo, che sia un’evasione.
La vita, il dolore umano, tutto è rapportato alla misura. Se manca il contrappeso dell’eternità, ogni sofferenza, ogni sacrificio appare assurdo sproporzionato. Sarebbe un grande guadagno, non solo per la Chiesa ma anche per la società, riscoprire il senso dell’eternità. Aiuterebbe a ritrovare l’equilibrio, a relativizzare le cose, a non cadere nella disperazione di fronte alle ingiustizie e al dolore che ci sono nel mondo, pur lottando contro di esse.
Bisogna stare attenti, però, a non cercare l’esperienza dell’infinito nella droga o in altre cose, dove alla fine, c’è solo delusione e morte. “Chi beve quest’acqua avrà ancora sete” dice Gesù alla samaritana. Bisogna cercare l’infinito in alto, non in basso; al di sopra della ragione non al di sotto di essa, nelle ebbrezze irrazionali.
E’ chiaro che non basta sapere che esiste l’eternità, bisogna anche sapere come si fa a raggiungerla.

Adelaide Rossi, ofs

IN USCITA IL NUMERO DI MARZO DI "FRANCESCO IL VOLTO SECOLARE", MENSILE DELL'OFS D'ITALIA / anteprima



In arrivo il nuovo numero di marzo di FVS
Ora è possibile anche
Va in missione l’OFS italiano: è iniziata l’avventura dei coniugi Macca, francescani secolari italiani, nel Nord del Cile. Il numero di FVS di marzo dedica uno spazio allo slancio ad gentes, senza tralasciare la “missione in casa”: tutta la fraternità OFS italiana vive, nel cammino verso il Capitolo elettivo nazionale, un “tempo di profezia”.
Non manca un servizio sul primo anno di papa Francesco: ne parla il monaco benedettino MichaelDavide Semeraro, spiegando la “rivoluzione dei gesti” del pontefice.
E poi: i francescani secolari si interrogano su “cultura dello scarto”, mentre prosegue l’inchiesta di FVS, titolata “la carne di Cristo”, raccontando l’apostolato OFS con i malati. Francescani nel mondo, sì, ma sempre innestati nella “Famiglia francescana”, ricorda a FVS, fra Michael Perry, ministro generale OFM.
(per visionare le prime pagine e il sommario)
Abbonamento alla rivista
   cartacea + online: € 20,00
Abbonamento alla rivista
   online: € 10,00
Francesco il Volto Secolare Viale delle Mura Aurelie, 9 | 00165 – Roma (Rm)
Tel e fax: +39 06 632494 | cel. +39 334 2870709 

segreteria.fvs@ofs.it | email redazione: redazionefvs@ofs.it 

social network

 | sito web:


SOLIDARIETA' E RELAZIONI UMANE



Solidalietà &
   Relazioni umane

SOLIDARIETA’ – La Solidarietà è un segno di quella capacità di bene che contraddistingue l’uomo, L’uomo è capace di bene, è capace di rapportarsi all’altro secondo una relazione di bene.

Le relazioni tra gli uomini sono dettate – come in tutti gli esseri viventi – da un impulso di sopravvivenza per il quale si va “verso” il proprio simile per la propria auto-conservazione. Un esempio ancestrale è quello dei rapporti di parentela o di clan, che vale per molte specie viventi. Ogni uomo va “verso” l’altro per garantire la perseveranza nel proprio essere. In quest’accezione la “relazione” tra gli esseri viventi si chiama guerra.

In un recente convegno, promosso dalla Chiesa ambrosiana, “Gratuità per fare la storia”, Silvano Petrosino, docente dell’Università Cattolica di Milano, è entrato in merito alla declinazione del termine “solidarietà” per scevrare ogni equivoco che esso possa portare con sé: “La relazione di bene, di cui la solidarietà è una delle manifestazio-ni, perché essa rinvia ad un legame con l’altro non più definito dal “verso”, ma dal “per”: l’uomo è capace di andare verso l’altro non per sé ma per l’altro. Questa idea del bene descostruisce l’idea stessa di esistenza: quest’ultima non si esaurisce nella sola perseveranza in sé, nella chiusura nel proprio essere, ma si dilata nell’apertura per l’essere dell’altro”.

L’uomo è naturalmente capace di distinguere il bene dal male, di agire secondo coscienza. Boezio diceva che tra tutti gli animali, l’uomo è l’unico capace di guardare verso il cielo. E’ in merito a questa “capacità di bene” che l’antropologia e teologia cristiana fanno riferimento alla “centralità dell’uomo nell’universo”. Posizione non scontata, anzi particolarmente avversa nei nostri tempi, e soprattutto carica di conseguenze per il nostro agire in questo mondo. L’uomo – ha spiegato poi Silvano Petrosino – è il centro di un “luogo” spirituale, che non è semplicemente uno “spazio” fisico, rifacendosi sia al logos filosofico sia al logos biblico.

Isaia, 1, 13-17 – “Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; non posso sopportare noviluni, sabati, assemblee sacre, delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli (…). Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova.

“Un Dio che afferma di non sopportare noviluni, sabati e assemblee sacre – commenta il Silvano Petrosino – è davvero sorprendente ma ancora più sorprendente è l’idea di un uomo che un simile Dio propone: un uomo creato “a sua e somiglianza”, ciòè anch’egli capace di bene, capae non solo di far posto all’altro, ma addirittura di essere solidale con l’altro. Il vero culto è la vita stessa offerta per gli altri. Non semplicemente una vita offerta a Dio, ma offerta per gli altri. Le linee verticale e orizzontale si congiungono (…) Che l’uomo debba onorare e servire Dio è importante ma ovvio. Che Dio trovi il suo onore là dove si libera l’uomo non è ovvio”.

(Bruno Maggioni, Perché state a guardare il cielo. Le due strade per incontrare Dio, Vita&Pensiero editrice).

“Di fronte alla vertigine del bene – essere come Dio senza essere Dio – si rischia completamente di perdere la testa” - ha poi aggiunto Silvano Petrosino - “ci si può ad esempio assuefare ad un simile esercizio alimentando quello che Baudrillard ha definito un “surplus di ideologia altruistica”, “essa stessa burocratizzata”: “Lubrififucazione sociale” attraverso la sollecitudine, la ridistribuzione, il dono, la gratuitità, tutta propaganda caritativa e delle relazioni umane” (La Società dei Consumi, ed. Il Mulino).

La solidarietà si trasforma in “lubrificazione sociale” ogniqualvolta, smarrendo l’attenzione per la scandalosa concretezza dell’altro, ci si accontenta e in verità anche si gode dell’astrattezza stessa del gesto: perversione all’interno della quale la “passione” per la solidarietà prende il sopravvento sulla cura per l’unicità del singolo.

SOLIDALI, MA SENZA EQUIVOCI 

“Tra le mani dell’uomo il bene si trasforma spesso in male: si può fare della solidarietà, della beneficenza, della carità, del dono etc. l’oggetto del proprio godi-mento: non basta andare “verso” ma occorre essere “per” l’altro! Occorre resistere alla tentazione di fare della generosità un “fine”!

“Si può donare con generosità – ha precisato, infine, Silvano Petrosino – anzi, ogni autentica solidarietà e ogni dono implicano la “generosità”, ma no si può donare “per” generosità: se si donasse per essere generosi, per dare e darsi prova di essere generosi, in verità, non si donerebbe affatto ma sempliemente si “darebbe”, il più delle volte proprio per ricevere. In termini rigorosi si deve pertanto riconoscere che pefino la solidarietà e il dono possono trasformarsi in quell’idolo per eccellenza che è il potere. (…) Contro simili derive, bisogna salvaguardare con forza il debole statuto della solidarietà. Analogamente al dono, alla compassione, alla carità, al bene, anch’essa deve essere dunque scritta con la minuscola: nessun dovere, nessun obbligo, nessun potere, nessuna ideologia. Se fosse mai possibile – ecco la rivoluzione – solo bene”. 

Marco Stocchi, ofs


RELAZIONE - La parola relazione deriva dal verbo latino religare che vuol dire “legare insieme”: la relazione o re- l +- azione è l’azione che porta a legare insieme (re=insieme) cose e persone.  La relazione è, quindi, la capacità di creare legami. 
Oggi si parla tanto di difficoltà di relazione perché l’uomo è essenzialmente un individualista, portato a vivere da solo, a non riuscire ad intessere dei legami con i suoi simili, a chiudersi nel suo mondo e non riuscire a confrontarsi con gli altri e a vivere le sue esperienze alla luce della condivisione! E’ un fenomeno sociale molto profondo e negativo per la crescita delle nostre comunità (siano esse familiari, sociali, lavorative e  spirituali). L’uomo ha timore del confronto, preferisce chiudersi in se stesso perché ha paura dell’altro.


La relazione:


                     nasce dall’ascolto
                     si esprime nel dialogo

                     apre all’incontro 
                     cresce nella gratuità

                     si sviluppa attraverso la gioia                                                                                                 
                     si oppone all’indifferenza.

Il terziario francescano è chiamato a vivere il Vangelo in comunione fraterna. I membri dell’OFS, infatti, si riuniscono in comunità ecclesiali chiamate Fraternità (Cost. 3,3). Il terziario francescano non vive isolato ma in comunione con gli altri (fratelli della comunità e fratelli nel mondo): ama stare in Cristo e per Cristo vivendo una profonda comunione interiore intesa come impegno a raggiungere insieme la perfezione della carità. Comprende il dono dei fratelli accettandoli con gioia, con comprensione e, soprattutto, con i loro limiti.

Assunta Salticchioli, ofs